Bisognerebbe vederli dal vivo Charlotte Hug e Frederic Blondy, ma ci si può accontentare di qualche loro spezzone di concerto passato in rete. Bisognerebbe vederli, perché altrimenti si fatica a credere a ciò che si legge sulla copertina del loro ultimo album intitolato Bouquet, ossia che Charlotte Hug e Frederic Blondy suonano rispettivamente una viola e un pianoforte. Bisognerebbe vederli perché quello che imperversa nei dodici brani del disco sembra un ensemble da camera eccentrico, spericolato, schizofrenico più che un duo di strumenti acustici che fatichiamo a riconoscere perché il piano suona spesso come uno strumento ad arco e la viola come un clavicembalo impazzito.
Scopriremmo che Blondy ama la pancia del pianoforte, ne sonda ogni anfratto, sfregando le corde con l'archetto o percuotendole con bastoncini felpati, ottenendo effetti microtonali altrimenti impossibili da ricavare. O che Hug utilizza archetti di diversa foggia e dimensione anche contemporaneamente così che pressioni differenti ma contemporanee sulle quattro corde della viola rimandano brusii inquietanti ed effetti orchestrali. O che la violista, compositrice, artista visuale elvetica sfrega con un archetto i crini di un altro archetto che a sua volta sfrega le corde della viola...
Insomma, tecniche perlomeno poco ortodosse che richiedono un'abilità ed una padronanza strumentale superiore, messe al servizio di un'idea espressiva non rivoluzionaria ma che coniuga in maniera convincente rigore formale e subbuglio emozionale. Aprendo all'ascoltatore - questa volta grato alla valenza solo sonora del supporto fisico che lascia l'immaginazione libera di vagare - scenari musicali inimmaginabili.
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