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Francesco Bigoni e Siena Jazz - una lunga storia d’amore

Courtesy Emanuele Maniscalco
Quello che ha di particolare Siena Jazz è la forza con cui un'esperienza costruita dal basso e con la visione di una persona che era Franco Caroni, è riuscita ad inserirsi in maniera organica dentro ad un sistema come quello AFAM. Non so se all'estero ci sono realtà del genere

Francesco Bigoni
saxophone, tenorb.1982
All About Jazz: Siena Jazz è una realtà di cui ogni jazzofilo italiano ha sentito parlare. Penso tuttavia che non tutti abbiano la piena consapevolezza di cosa sia esattamente. Chi pensa sia un festival, chi un seminario, chi una scuola di musica
Francesco Bigoni: L'equivoco è comprensibile. Siena Jazz è una realtà che nei suoi tanti anni di esistenza si è espansa e ha cambiato faccia molte volte. Personalmente, ho iniziato a frequentare Siena Jazz nel 2000 come studente dei seminari estivi. Ero molto giovane e Siena Jazz era già una realtà consolidata nel panorama nazionale, all'epoca era uno dei pochi centri di formazione jazzistici esistenti. C'erano delle cattedre di musica jazz nei Conservatori, ma erano corsi tradizionali, in cui ammettevano pochi studenti e che erano presenti in pochi Conservatori. Fra i docenti mi vengono in mente Tommaso Lama,

Paolo Damiani
cello
Franco D'Andrea
pianob.1941
Io però non avevo accesso ad un percorso del genere, perché non ero interessato a fare studi classici. Quindi, oltre a studiare privatamente, uno degli sbocchi possibili era proprio Siena Jazz, dove andai perché un mio docente di sassofono mi convinse a provare. All'epoca eravamo già intorno alla ventesima edizione ed era un'esperienza incredibile perché raccoglieva tutto il gotha del jazz italiano, da

Enrico Rava
trumpetb.1939

Paolo Fresu
trumpetb.1961

Gianluigi Trovesi
saxophone
Franco D'Andrea
pianob.1941

Stefano Battaglia
pianob.1965
Quell'esperienza nasceva dall'intuizione di Franco Caroni [fondatore dell'associazione Siena Jazz, mancato nel gennaio 2024 -NdR] che con un gruppo di amici fondò questa esperienza e poi si mise a raccogliere supporti per sostenere questa sua visione di formazione, che inizialmente, non era accademica. Era una formazione seminariale organizzata dal basso. Negli anni la cosa è cambiata perché Franco si mise a cercare fondi per costruire situazioni più stabili. Oltre ai seminari estivi, anche una scuola popolare di musica, che esiste tuttora. Di fatto, una delle nostre attività formative è la formazione di base per tutti, dai principianti fino alla preparazione all'ingresso ai corsi accademici. All'epoca l'idea era quella di una scuola popolare di musica, tipo quella del Testaccio, con musicisti del territorio. Negli anni si attivarono corsi permanenti di formazione musicale. Con uno di questi, finanziato con fondi di quella che all'epoca era ancora la Comunità Economica Europea, Franco riuscì a mettere insieme un'orchestra, una serie di laboratori e attività più continuative.
Un'altra esperienza che a un certo punto nacque fu quella dei laboratori permanenti di

Stefano Battaglia
pianob.1965
Una quindicina di anni fa c'è stato l'ingresso di Siena jazz nel mondo AFAM, ossia le istituzioni di alta formazione musicale pubbliche, ottenendo l'accreditamento dei corsi accademici. Oggi Siena Jazz è un soggetto privato a controllo pubblico che offre diplomi legalmente riconosciuti e quindi parificati a quelli dei Conservatori statali. Abbiamo iniziato con il primo livello (il triennio), dal 2019 abbiamo anche il secondo livello (il biennio) e dall'anno scorso abbiamo anche un dottorato di ricerca.
Quindi Siena jazz, nata da una esperienza dal basso associativa e legata ad una dimensione di formazione non accademica, è diventata un organismo complesso che da fuori può essere difficile da leggere, da decifrare.
AAJ: Malgrado questa "istituzionalizzazione," mi sembra comunque che lo spirito di allora sia rimasto intatto.
FB: Decisamente sì, ha mantenuto molta di quella energia e anche di quella memoria storica. Anche i nostri corsi accademici sono comunque stati pensati da Franco, naturalmente in accordo con i docenti e le docenti. Resta comunque lo spirito della full-immersion, perché i nostri di fatto sono dei corsi intensivi. Ad esempio, ci sono moduli per cui i nostri studenti del triennio vengono a fare due settimane di lezione e poi hanno dei buchi. In queste due settimane si concentrano tutte le ore di lezione. Fisicamente può essere difficile da sostenere, però l'impatto a livello di valori della comunità è molto alto. I nostri studenti passano tanto tempo insieme e il riscontro che abbiamo quando ci confrontiamo con altre entità è quello di un maggiore attaccamento all'istituzione, ma soprattutto di un maggiore potenziale di sviluppo di un percorso artistico che vada anche al di fuori delle lezioni. Dai nostri corsi sono usciti moltissimi gruppi, musicisti che adesso vediamo nei cartelloni dei festival, che registrano album ... E con una scuola come la nostra, che può tenere aperto fino a tardi e che ha questo impianto, dinamiche di questo tipo vengono favorite.
AAJ: Infatti Siena Jazz ricorre nei curricula di praticamente tutti i jazzisti, italiani e non solo. Credo che in Italia non ci sia nessun'altra realtà come questa...
FB: Con questa lunga storia e che abbia conservato caratteristiche di partenza dal basso e di sviluppo a livello di comunità, onestamente non ce ne sono tante, almeno non nel jazz che è una scena arrivata tardi ad un percorso accademico. La Scuola Popolare del Testaccio è un'esperienza con cui abbiamo forse qualcosa in comune, più che non con un Conservatorio. Poi è chiaro che condividiamo docenti con tante istituzioni ormai, quindi questo è relativo. Però a livello di impianto, forse solo noi abbiamo una struttura di insegnamento intensivo così radicale.
AAJ: Guardando all'estero, c'è qualche realtà simile a Siena Jazz, qualche realtà che ti sembra possa essere un buon modello?
FB: Noi guardiamo all'estero senz'altro, perché avendo delle caratteristiche così peculiari, diventa più facile misurarci con istituzioni straniere che con quelle italiane. In Italia siamo sommersi dalla burocrazia, nel settore pubblico c'è un sistema molto ingessato per certi versi. All'estero sicuramente ci sono realtà che guardiamo con interesse. Anche lì, però, se tu pensi a quelli che sono i grandi conservatori in Europa, mi vengono in mente Amsterdam, Berlino, Copenaghen, Oslo, la Guildhall o la Royal Academy a Londra, il Conservatorio Superiore di Parigi, ... sono tutte realtà sui generis, nel senso che molte cose dipendono dal sistema in cui sei inserito. Quello che ha di particolare Siena Jazz è la forza con cui un'esperienza costruita dal basso e con la visione di una persona che era Franco Caroni, è riuscita ad inserirsi in maniera organica dentro ad un sistema come quello AFAM. Non so se all'estero ci sono realtà del genere, normalmente si viene da un percorso più strutturato.
AAJ: Solo un grande visionario poteva creare, cinquant'anni fa, una cosa del genere. O forse sarebbe ancora più visionario crearla oggi? Il jazz, almeno in Italia, sembra essere una musica che si rivolge tendenzialmente ad un pubblico anziano.
FB: ? una questione di non facile analisi e soluzione. ? un problema che, da artista, mi sono sempre posto. E però da artista c'è forse un tipo di visione, un tipo di risposta, legata alla capacità di comunicare quello che facciamo anche ad un pubblico non specialistico, andarlo comunque a cercare. La risposta secondo me è che ringiovanire un ensemble significa anche ringiovanire il pubblico. Non è automatico, però può essere una risposta a livello formativo. Sicuramente sento una responsabilità perché per un'istituzione come Siena Jazz attrarre una comunità di praticanti significa anche formare il pubblico, in qualche modo, nel senso che poi sono persone che vanno a sentire i concerti e sono persone che portano gli amici a sentire i concerti. Una dinamica di questo tipo è sicuramente utile, secondo me. Investire su questo e anche cercare di coinvolgere le istituzioni di alta formazione musicale. Purtroppo in Italia si parte da un livello troppo alto. La formazione musicale nelle scuole dell'obbligo è ancora molto difficoltosa, anche negli stessi licei musicali, che sono esperienze a volte di grande livello, ma in cui c'è comunque molta difficoltà a fare questo tipo di lavoro. Insomma, ci troviamo a dover recuperare all'università, se dobbiamo iniziare a fare questo tipo di lavoro da zero. A volte capita.
AAJ: Anche perché le occasioni di ascolto casuale del jazz, in Italia, sono veramente poche. Se vuoi ascoltare jazz devi proprio andartelo a cercare.
FB: Ascolto casuale significa la radio, o la televisione... Se è la musica dal vivo, quello che in Italia è calato rispetto al passato è proprio il tessuto dei club. Dei locali dove si fa musica dal vivo. Quindi è diminuita la possibilità di un incontro casuale. ? più difficile che l'incontro casuale avvenga ad un festival. Perché è un contesto più istituzionale, ci vai apposta. In un club magari non ci vai apposta. Provi, oppure vai perché vuoi bere un bicchiere di vino e ci trovi un concerto. Anche se non è un jazz club, magari è solo un ristorante con una programmazione musicale a 360 gradi
AAJ: Da qualche mese sei diventato direttore didattico e direttore artistico di Siena Jazz. Cosa significa e come vuoi caratterizzare la tua attività?
FB: La figura di direttore artistico e didattico la ereditiamo da Franco Caroni, che era una persona che riusciva a tenere insieme tantissimi ruoli e tantissime anime, perché questo è un posto che ha fondato e lui aveva una sua visione individuale molto forte. Io sono stato nominato ad aprile, anche se in realtà ho fatto il direttore pro-tempore da novembre dell'anno scorso. Poi c'è stata una procedura di selezione che ho vinto e quindi è soltanto da aprile che ho un mandato forte, e mi trovo a dover riflettere su questo.
? una bella domanda, nel senso che il bisogno di direzione didattica di Siena Jazz è sempre più forte, perché la dimensione della formazione accademica è sempre più importante, mentre i seminari estivi sono il luogo in cui si può fare una sorta di direzione artistica. L'obiettivo è sempre la formazione, poi ci sono i concerti dei docenti. Dieci giorni in cui mettiamo insieme un gruppo di docenti anche in base, appunto, a indicazioni artistiche. Sono figure anche di ispirazione per gli studenti, quindi come dinamica è più simile a quella della direzione artistica. I docenti si esibiscono con i loro ensemble per due giorni e poi c'è un cambio, quindi questa è la dimensione di direzione artistica più spiccata, forse perché non è necessario un coordinamento didattico e il formato è seminariale.
Io sto cercando di adattarmi al ruolo e capire come sviluppare questi vari filoni, perché le mie mansioni vanno dalla scelta dei docenti alla realizzazione dei piani di studio insieme al consiglio accademico. Ogni tanto c'è una dimensione di direzione artistica tout court, nel senso che se collaboriamo con enti, istituzioni, soggetti che cercano una collaborazione artistica e ci chiedono dei gruppi di studenti, docenti e... è una cosa che facciamo, ma che non è compito esclusivo del direttore. Comunque è una scuola, per cui la scelta non sta in capo ad una persona sola.
L'altro tema è quello della delega, nel senso che rispetto al passato io sto cercando di costruirmi uno staff di docenti che collaborino con me a varie attività. Prima di fare il direttore, ho iniziato anche a fare il coordinatore del corso di dottorato. Qui ho nominato un vice, perché le mansioni sono tante e il tempo è poco e bisogna collaborare, anche per inserire in questo percorso i docenti in maniera più organica, per condividere alcune di queste decisioni, alcune istanze
AAJ: In effetti sostituire figure forti, l'ho notato anche in alcuni festival, non è semplice. Quando vengono a mancare, lasciano un vuoto.
FB: Il tema del passaggio di consegne è sempre difficile. Questa realtà ha avuto un deus ex macchina per così tanti anni, che è normale che quando questa persona non c'è più, poi ci sia un vuoto. E anche rispetto al mio predecessore, Jacopo Guidi, che ha fatto una breve transizione, io ho un profilo molto diverso. Lui non è un musicista, è più un addetto ai lavori, ha un profilo quasi da promoter. Ha altri punti di forza rispetto ai miei, altre competenze che sono leggermente diverse.
FB: Quest'anno i seminari sono iniziati con una tavola rotonda sul gender gap. Il concerto inaugurale era sul tema della pace... Ne ho ricavato l'impressione che Siena Jazz non sia solo una scuola di musica (passami il termine), ma voglia anche spiegare ai ragazzi il ruolo del musicista, dell'artista immerso nella società.
FB: Quest'anno le attività estive sono iniziate il 23 luglio e nei primi due giorni abbiamo ospitato un simposio di studi sull'improvvisazione. C'è stato un meccanismo di call che abbiamo chiesto ai nostri dottorandi di coordinare dal punto di vista del programma. C'è stata una call per interventi performativi, presentazioni, workshop anche in modalità ibrida ... Ci sono stati dei keynotes, come alle conferenze. C'erano il gruppo franco-norvegese Dans Les Arbres, che ha fatto un concerto seguito da una conversazione collettiva, un intervento di Rezo Kiknadze, un sassofonista georgiano che lavora con la tecnologia musicale, docente al Conservatorio di Tiblisi. Un seminario diretto da

Roberto Spadoni
composer / conductorb.1963
AAJ: Che rapporto ha Siena Jazz con il territorio?
FB: C'è assolutamente un filo diretto per tutta la parte della formazione di base, quindi nella scuola di musica e anche nei corsi pre-accademici. Qui abbiamo un accesso che è fondamentalmente legato al territorio. Con i corsi accademici, questo filo un po' si spezza per ragioni fisiologiche, come succede anche in altre istituzioni come la nostra. I seminari estivi sono il momento in cui abbiamo più visibilità dentro la città, perché abbiamo un programma fitto di attività. Siena non è una città facile. ? una città con un'identità molto forte e da parte della cittadinanza c'è una richiesta di coinvolgimento che però non è facile da soddisfare. C'è il Palio, è una città con le sue idiosincrasie, non molto grande e con le sue dinamiche. Quindi durante l'anno per noi è un po' più difficile comunicare alla città quali sono le nostre attività.
In compenso, abbiamo un rapporto felice con le altre istituzioni musicali della città, soprattutto con l'Accademia Chigiana, con cui abbiamo da anni una collaborazione che è sempre più fitta. Ieri sera c'è stato il concerto di

Miguel Zenon
saxophone, altob.1976
Il lavoro è quello anche di uscire da Siena. Quest'anno, per esempio, gruppi provenienti da Siena jazz sono stati ospitati in una lunga programmazione che c'è stata in Val di Chiana. Ci sono anche collaborazioni con Montepulciano, con la Fondazione Cantiere Internazionale d'Arte, ci sono un po' di altre istituzioni sul territorio senese che hanno un potenziale molto alto.
AAJ: Spesso si dice che insegnamento e attività concertistica non vanno molto d'accordo. Considerato che ti sei candidato per questa posizione, immagino che su questo tema tu abbia una visione diversa. Questa attività come pensi influenzerà la tua attività concertistica o comunque di musicista?
FB: Certamente è un impegno molto grande, anche perché oltre alla direzione ho il coordinamento dei corsi di dottorato. E la docenza, che ridurrò molto dal prossimo anno accademico, ma che comunque non voglio interrompere del tutto perché per me è un canale importante, che alimenta un rapporto con l'Accademia che va oltre l'organizzazione e il lavoro d'ufficio. ? un momento importante di scambio con studenti e studentesse, che non voglio lasciare.
Per quello che riguarda il mio percorso artistico, la ricerca è quella di uno spazio protetto e individuale in cui fare musica. Il punto non è tanto la quantità del tempo, ma la qualità del tempo investito nella mia musica, che ovviamente ha bisogno di essere in qualche modo protetto. Non lo sto dicendo negativamente, ma è un tempo che ha bisogno di essere separato dalle altre istanze. Non solo perché c'è il rischio di essere travolti dal quotidiano, ma anche quello di identificarsi con l'istituzione. Che è positivo se sei in quel ruolo, se hai il cappello del direttore, ma per quello che riguarda la produzione artistica può essere rischioso. Quindi sto cercando di esplorare quel percorso, che è quello che conosco da più tempo e che per me è sempre attivo, in una dimensione privata, più riparata. Tengo però a dire che la docenza è sicuramente un momento in cui io mi sono arricchito come musicista. Per me l'insegnamento è un momento di scambio, dentro Siena Jazz ho imparato moltissimo dai miei studenti e studentesse. Non lo dico per piaggeria, per me è una dimensione davvero importante.
AAJ: Visto che siamo arrivati alla tua dimensione di musicista, a quali progetti stai lavorando in questo momento?
FB: Sto lavorando principalmente su un quartetto franco-italiano con

Francesco Diodati
guitar
Benoit Delbecq
piano
Steve Arguelles
drumsb.1963

Mark Solborg
guitar
AAJ: Una sorta di teremin ?
FB: Simile, però quello che viene mappato non è la posizione nello spazio, ma la qualità del movimento. Movimenti pesanti o leggeri, frenetici oppure fluidi, lunghi oppure molto frammentati. ? un lavoro che ho sviluppato prima in solo e che poi ho portato dentro questo trio, dove mi sono accorto che per me aveva senso esplorare anche il campionamento in tempo reale, cosa che prima non facevo e che invece trovo molto divertente in una dimensione di trio perché, appunto, nel trio ho delle sorgenti che posso manipolare. ? un gruppo con cui non solo mi piace suonare, ma che mette anche in crisi l'idea del controllo, perché l'interfaccia non è fatta per un controllo molto preciso, è un'interazione molto performativa. Quando funziona, non capisco più cosa sto facendo. Se sto danzando con le mani rispetto ad un input musicale, o se invece sto controllando qualcosa. Con questo trio abbiamo diverso materiale registrato sia dal vivo che in studio e stiamo lavorando ad un piano di uscite articolato. Probabilmente non uscirà un disco, ma usciranno diversi lavori. Vediamo se riusciamo a venire in Italia con questo gruppo, perché è divertente.
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Franco D'Andrea
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Miguel Zenon
Francesco Diodati
Benoit Delbecq
Steve Argüelles
Weave4
Mark Solborg
Alut Kühne
Hands
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