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Luca Vitali - Il suono del Nord

Aurore boreali, fiordi, salmoni, un re che si chiama Harald, fenomenali sciatori, un paio di attaccanti spilungoni che hanno lasciato il segno anche in Italia e una scena jazz da crepare d'invidia. Cresciuta rigogliosa nonostante la Novergia non sia esattamente al centro del villaggio globale. E nonostante gli evidenti limiti rappresentati dall'esiguo numero di abitanti, dal clima non proprio ospitale e dalla morfologia di un territorio frammentato, costellato di città piccole e distanti. Tutto il contrario di quel che ci si aspetterebbe da una terra che da più di quarant'anni rappresenta uno snodo cruciale per le sorti della musica improvvisata non solo europea, un laboratorio permanente di stili e tendenze, commistioni e rivisitazioni. Un autentico miracolo la scena norvegese, una meravigliosa anomalia che prima o poi qualcuno doveva prendersi la briga di raccontare. Non stupisce che a farlo sia stato un "norvegiologo" patentato come Luca Vitali, che dell'amore per la patria dei vichinghi ha fatto una ragione di vita. E che nell'indispensabile "Il suono del Nord," pubblicato da Auditorium Edizioni, ha tracciato una dettagliatissima mappa di quel che è stata e di quel che è la Norvegia in jazz.
Partendo dal padre Adamo della scena:

George Russell
composer / conductor1923 - 2009

Jan Garbarek
saxophoneb.1947

Jon Christensen
drums1943 - 2020

Arild Andersen
bass, acousticb.1945

Terje Rypdal
guitarb.1947


Jon Balke
pianob.1955

Christian Wallumrod
pianob.1971

Ingebrigt Håker Flaten
bassb.1971

Hakon Kornstad
saxophoneb.1977

Paal Nilssen-Love
drumsb.1974
Intervista con l'autore
All About Jazz: come e quando è nata la tua passione per la musica norvegese e per la Norvegia?
Luca Vitali: Sul finire degli anni '90, quando

Bugge Wesseltoft
pianob.1964

Nils Petter Molvaer
trumpetb.1960

Mats Gustafsson
woodwindsb.1964
All About Jazz: il tuo primo viaggio? E la tua ultima trasferta?
Luca Vitali: Il mio primo viaggio vero (a un festival) credo nel 2007, al Nattjazz di Bergen. Fu un autentico choc: un pubblico costituito per la maggior parte da giovani e giovanissimi in quell'antica fabbrica di sardine adibita a spazio culturale. Ero già stato in Norvegia, ma solo ad Oslo. Da quella prima volta al Nattjazz la frequentazione si è via via intensificata fino ad arrivare alla più recente trasferta per il Punkt Festival a Kristiansand, dove grazie a Jan Bang e Erik Honorè ho presentato il mio libro con Fiona Talkington della BBC Radio3.
All About Jazz: E l'idea del libro? Da quanto la cullavi?
Luca Vitali: Nell'immaginario collettivo l'etichetta tedesca ECM e il nome di Jan Garbarek sono il marchio di fabbrica con cui il jazz norvegese viene identificato ed esportato nel mondo, ma in verità rappresentano solo una piccola parte della scena. Troppo spesso, leggendo alcune delle storie del jazz più autorevoli, mi sono reso conto di come molti fenomeni europei siano tralasciati o liquidati, e si citino solo alcuni degli elementi del Nordic Sound e di certa estetica ECM. Mi viene in mente A "New History of Jazz," dell'inglese Alyn Shipton (tradotta recentemente in italiano da Vincenzo Martorella), che dedica due intere pagine a

Tord Gustavsen
pianob.1970

Jan Johansson
piano1931 - 1968
All About Jazz: Ho notato che da qualche tempo non ti limiti solo a raccontare la musica norvegese, ma sei diventato una sorta di ambasciatore in Italia che collabora con i festival di casa nostra per promuovere gli artisti scandinavi. Che possono contare sul sostegno e gli aiuti che vengono garantiti a livello istituzionale. Come funziona questo invidiatissimo sistema di supporto?
Luca Vitali: Sono ormai diversi anni che frequento i musicisti norvegesi e gli organizzatori di festival italiani (e viceversa), per cui è stato tutto abbastanza naturale. L'Italia è un paese in cui nulla cambia e quando qualcuno mi chiede il contatto di qualche festival o musicista norvegese interessante, lo faccio volentieri: cerco di portare "sangue nuovo" nei festival e club italiani (senza alcuno scopo di lucro). Il sistema è semplice e complesso al tempo stesso, nel senso che non c'è una sola organizzazione governativa, ma tante e di diverse dimensioni. I musicisti possono chiedere supporto per le spese di viaggio, o per la registrazione di un nuovo album, o per la ricerca e sperimentazione in un nuovo ambito-progetto. Non c'è mai uno schema fisso e i musicisti sono come imprenditori di loro stessi, prendono dimestichezza con le pratiche burocratiche dei bandi e si amministrano i fondi per la realizzazione dei progetti. La cosa più bella e sconvolgente, in Norvegia, è che i fondi in larga parte vengono assegnati a sperimentatori e ad artisti poco noti, al contrario dell'Italia in cui i poco noti sono ignorati e i famosi ricevono fondi a pioggia. Occorre non dimenticare che la Norvegia è un paese dal costo della vita molto alto. Senza contributi i musicisti che non godono della fama e della visibilità di un Jan Garbarek, ad esempio, non potrebbero vivere nel loro paese con i cachet standard dell'Italia e di altri paesi europei.
All About Jazz: Un'altra peculiarità della scena norvegese, e non da ora, è quella di avere un respiro globale, una spiccata propensione a creare relazioni e connessioni con il resto del mondo. Penso all'asse Oslo-Chicago, ad esempio. Anche qui l'Italia, e i musicisti italiani, mi pare che abbiano molto da imparare.
Luca Vitali: In Italia purtroppo non sono solo i musicisti ad avere da imparare e in Norvegia il sistema funziona non solo grazie ai musicisti. Diciamo che una certa propensione all'autodidattica, all'autoproduzione e all'associazionismo, senza mettere lo scopo di lucro e la fama davanti a tutto, sono nel DNA del popolo norvegese, e questo fa sì che accadano cose da noi inimmaginabili. Voglio dire che se si è costituito l'asse Oslo-Chicago non è stato solo merito di Paal Nilssen-Love e Ingebrigt H?ker Flaten (oltre a

Ken Vandermark
saxophoneb.1964

Thurston Moore
guitarJim O'Rourke
bass, acousticAll About Jazz: A questo punto la domanda è inevitabile. Partendo dal presupposto che il modello norvegese-scandinavo è uno dei più virtuosi che ci siano, quali sono le principali differenze con il sistema jazz italiano? E per sistema jazz non intendo solo i festival, ma anche le scuole, i locali, la stampa e tutto quanto ruoti attorno alla musica.
Luca Vitali: Dovendo sintetizzare in poche parole: merito, cooperazione, coordinamento e ricerca di una voce originale. La Norvegia è un paese socialdemocratico vero (all'europea e non all'italiana), per cui uno spiccato senso civico e di parità sociale affiancati a un fiero sentimento identitario fanno sì che ognuno, nel mondo del jazz, faccia il suo mestiere senza segreti e posizioni personali da difendere. Faccio alcuni esempi concreti per esprimere meglio il concetto. I festival si coordinano (senza competere) attraverso il jazzforum, per evitare di ingaggiare tutti gli stessi musicisti e di offrire cachet strampalatamente alti, e cercano di trovare ognuno una propria cifra stilistica-identità: Vossajazz è quello dell'opera commissionata che ha fatto nascere capolavori come Khmer e si dedica prevalentemente alla declinazione folk, Kongsberg al free, Molde alle stelle internazionali con la tradizione dell'artist in residence. Quanto ai conservatori, quello di Trondheim, con i due imperativi categorici "non imparare la tradizione per rieseguirla, ma impara dalla tradizione" e "prima di suonare, ascolta," ha gettato le basi di una didattica in netta contrapposizione con il metodo della Berklee di Boston, e tutti i conservatori che sono venuti dopo hanno ereditato quell'idea di base cercando di trovare una propria via altrettanto originale, senza mai emularne il metodo o le gesta altrui. E così i club, la stampa e tutto quello che ruota attorno alla musica si caratterizza per indipendenza e originalità, senza emulare e seguire la moda del momento.
All About Jazz: Se dovessi riassumere in poche righe l'essenza della scena norvegese, il quid che le ha permesso di emergere a livello globale e continua a permetterle di prosperare e rinnovarsi?
Luca Vitali: Credo che a rendere speciale la scena norvegese sia la struttura orizzontale della società, senza le stelle e i baroni tipici del nostro paese. Questa circostanza ha permesso l'incontro e il confronto fra star e perfetti sconosciuti, come anche tra personalità appartenenti a scene musicali distanti anni luce tra loro. L'interazione e la mescolanza hanno dato vita a qualcosa di veramente unico, ancora oggi. La Norvegia è un paese giovane e non deve fare i conti con una tradizione ingombrante, come l'Italia. La sua gente ha un forte spirito identitario, clima e geografia l'hanno a lungo costretta all'isolamento dal resto dell'Europa e le hanno infuso uno spirito d'avventura che si rifà forse all'epoca vichinga. Non è un caso che il 17 maggio, per l'anniversario della Costituzione, adulti e bambini indossino il bunad, l'ottocentesco abito tradizionale di origine rurale: segno chiaro del persistere di un fiero sentimento identitario e di uno spiccato senso civico e di parità sociale. ? tutto ciò, ritengo, all'origine dell'effervescenza che oggi il paese ci regala in ambito musicale: le sue principali caratteristiche sono la potente spinta interiore alla ricerca di una cifra stilistica personale e la vocazione all'improvvisazione, reale essenza del jazz contemporaneo in Norvegia. Il risultato? un universo musicale dalle sonorità diversissime, e senza le preoccupazioni tipiche del nostro tempo, senza stare ogni volta a chiedersi: "Ma questo, è jazz?."
La musica
Abbiamo chiesto a Luca Vitali di compilare una mini guida in cinque dischi a misura di neofita. Non tanto sul jazz norvegese che fu, di Garbarek e soci più o meno si sa tutto, ma del jazz norvegese dei giorni nostri, che ha molto da raccontare e molto da offrire. Buon ascolto.
Sidsel Endresen & Stian Westerhus -Didymoi Dreams (Rune Grammofon) 2012.
Sidsel è l'icona del libro (non a caso in copertina) e della scena norvegese, Stian la stella nascente: colti dal vivo al Nattjazz di Bergen, come acrobati senza rete danno vita a una grande performance d'improvvisazione pura, oltre ogni genere e stile.
Jan Bang -Narrative from the Subtropics (Jazzland) 2013
Jan Bang è il padre del Live Remix e del Punkt Festival: quest'album uno degli esempi più rappresentativi di quell'estetica.
Neneh Cherry & The Thing -The Cherry Thing (Smalltown Supersound) 2012
Il magico punto di incontro fra il jazz radicale di una delle band più rappresentative dello spirito del Bl? e un'icona del pop come Neneh Cherry: un autentico capolavoro!
Arve Henriksen -The Nature of Connections (Rune Grammofon) 2014
Sconfinamenti folk contemporanei: quello che non ti aspetti da uno dei membri fondatori dei Supersilent.
Christian Wallumr?d Ensemble -Outstairs (ECM Records) 2013
Sconfinamenti verso la contemporanea colta senza dimenticare le radici soul-folk: quello che non ti aspetti da un conservatorio di jazz.
Foto
Luca Vitali.
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