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data-original-title="" title="">Enten Eller, oggi uno dei più vispi e concreti quartetti che il jazz tricolore possa vantare, le cui radici risalgono appunto a circa un quarto di secolo fa, intorno al 1986 quando l'ensemble fondato dal batterista e percussionista
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data-original-title="" title="">Maurizio Brunod, entrambi piemontesi, comincia a muovere i primi passi. Il debutto discografico risale all'anno successivo, nel 1987, con l'album Streghe, ottima prima prova in chiave "jazz mediterraneo."
Da allora di acqua, ma sarebbe meglio dire musica, ne è passata sotto i ponti e gli Enten Eller hanno tenuto sempre la schiena dritta, generando un jazz "che lotta contro l'oblio," come racconta lo stesso Barbiero nelle eccellenti note di copertina di Pietas (l'estensore è il giornalista e scrittore varesino Davide Ielminio) "Non il jazz-aggiunge il batterista-che intrattiene e consola, perchè quella è musica che tradisce le sue radici e le sue motivazioni sociali. In Italia sembra che anche il jazz abbia abdicato da tempo ad un impegno culturale." Già, più chiaro di così.
In Pietas Barbiero e Brunod sono affiancati dai "veterani"
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data-original-title="" title="">Javier Girotto, vecchia conoscenza della band. Sono sette le tracce che compongono Pietas, registrate dal vivo all'Open Jazz Festival di Bollengo (To) e tutte sono frutto di improvvisazioni che a strati nel tempo hanno plasmato architetture, ritmi e melodie. Una musica spesso spigolosa e ispida, ma non per questo meno affascinante proprio per essere il frutto di un mélange di influenze non solo di matrice afroamericana, ma anche europea.
Un approccio storicamente trasversale ai generi, quello degli Enten Eller, avendo sempre come orizzonte le musiche popolari del pianeta. E non è un caso che uno dei brani più riusciti sia il tango obliquo, "Stinko Tango," di Maurizio Brunod. Memorabile anche l'esecuzione di "Indaco" di Alberto Mandarini, da sola vale l'acquisto del CD.
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