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A dialogo con Mariasole De Pascali

Francesco Massaro
saxophoneb.1977

Nicholas Remondino
drums
Paolo Damiani
cello
Marco Colonna
clarinet, bassb.1978

Mariasole De Pascali
fluteAlessandro Presti
trumpetAll About Jazz Italia: Per cominciare, visto che sei giovane e forse per qualcuno poco conosciuta, puoi raccontarci qualcosa di te?
Mariasole De Pascale: Sono nata in Puglia, ho iniziato a suonare alle medie per poi intraprendere quasi subito la formazione accademica come musicista classica presso il Conservatorio di Lecce prima e al Cherubini di Firenze poi. Nel mezzo tante cose e un po' di "girotondo," sempre inquieta, bulimica e in cerca di cose diverse. Non appena diplomata, ho lavorato per breve tempo in orchestra: mi piaceva molto, ma allo stesso tempo non ero a mio agio con la routine del professionista iper-performante e competitivo, come occorre essere se si vuole vincere delle audizioni e fare questo lavoro stabilmente.
D'altra parte, latente, l'aspetto creativo della musica mi è sempre interessato e in qualche modo è emerso fino a diventare il centro della mia attività. Per breve tempo ho fatto tappa al Conservatorio di Monopoli dove ho frequentato il vecchio ordinamento di jazz, allora totalmente in mano a
Gianni Lenoci
pianoAAJ: Avendolo conosciuto, penso che sarebbe molto contento del lavoro che hai fatto.
MDP: Grazie. Piace pensarlo anche a me, ne sarei onorata.
AAJ: Ti seguo da tempo e ti ho incontrata in molte situazioni interessanti, come quelle con Francesco Massaro,

Marco Colonna
clarinet, bassb.1978

Nicholas Remondino
drumsMDP: Fera arriva "a conclusione" di un percorso fatto di esperienze diverse tra loro, ognuna con la sua rilevanza. Bestiario in primis, progetto col quale sono cresciuta e che è stato importante per me. Grazie a quel lavoro con Francesco, Gianni, Michele e Adolfo, durante il quale discutevamo di processi e strategie e del rapporto tra scrittura e improvvisazione, ho potuto mettere a fuoco alcune delle possibilità del flauto e imparare a improvvisare in uno spazio condiviso. Ho poi conosciuto Marco proprio grazie a Bestiario ed è stato un incontro anch'esso fortunato, per la portata del musicista, ma anche per la dedizione a tratti devozionecon cui veste la propria missione artistica e sociale. Oltre all'amicizia, ho potuto dedicarmi per un po' al duo con lui e conoscere personalità notevoli della scena romana come
Eugenio Colombo
flute
Giancarlo Schiaffini
tromboneAAJ: Del resto generi e contenitori rischiano di imprigionare sia la creatività, sia l'ascolto, sebbene abbiano una loro utilità per orientare nel mare delle differenze e per farle convivere in modo coerente. Ma questo in Fera accade comunque: ci sono dentro molte cose, dalla contemporanea al jazz, dall'astrattezza al lirismo, dal lavoro sui timbri all'improvvisazione, sempre però con grande equilibrio. E allora la domanda è: come sei riuscita a ottenerlo?
MDP: A dire il vero non lo so! Sono una persona analitica, un po' cerebrale, tanto che le scelte riguardanti il lavoro, dai materiali finanche ai titoli, sono il frutto di una ricerca rigorosa. Ma, in definitiva, per me la musica non può prescindere da una sua "godibilità." Ciò non vuol dire che quello che è godibile per me lo sia anche per un altro, ovviamente, ma volevo comunque che il lavoro non sfuggisse a un aspetto più materico, erotico del far musica, che vi coesisterssero più aspetti (timbrico, ritmico, armonico) e un certo grado di lirismo e di vividezza dei materiali. Per esempio, il suono e le declinazioni timbriche, sicuramente centrali nella mia ricerca e in quella dei compagni che ho scelto, non doveva ridursi a "effettismo": ci tenevo fosse "utile" a delle forme, non fine a sé stesso.
AAJ: Nella sua semplicità, quanto hai detto è estremamente esplicativo, lo dico da ascoltatore che privilegia le musiche astratte e cerebrali, ma che tuttavia si stufa quando lo diventano troppo... E certo l'attenzione alla fruibilità e alla godibilità può essere un forte stimolo per tenere in equilibrio i contrasti tra le diversità presenti nel lavoro. Riguardo a quello tra scrittura e improvvisazione, qual è il peso di ciascuna delle due e come le hai coordinate?
MDP: Ho immaginato le parti scritte come delle vere e proprie "scene," per cui la loro distinzione da quelle improvvisate è, volutamente, piuttosto netta: si passa da parti all'interno della stessa composizione come "La cerimonia del taglio" o "Cold Grey, Cadmium Yellow," riconoscibili come scritte, ad altre di improvvisazione totale. Nel lavoro fatto finora, questa distinzione netta è stata intenzionale. Ma anche nel lavorare sull'improvvisazione ho scelto alcuni materiali o condotte precise: intervalli, comportamenti ritmici, oggetti sonori e formule entro cui muoversi. Per esempio, in "Questo corpo," che è quasi tutto scritto, la parte improvvisata si distingue meno proprio perché è fatta su materiali timbrici scelti e utilizzati nella scrittura. L'equilibrio tra le due componenti, perciò, è in parte definito proprio dal loro contrasto, in parte dalla "recinzione" dell'improvvisazione entro dei limiti scelti e delle condotte che ritornano nell'arco di tutto il lavoro.
AAJ: A proposito della ricerca sullo strumento, il brano che intitola l'album è per l'appunto un tuo solo: quanto del disco viene dal tuo lavoro sui flauti?
MDP: Tanto! E questo perché il mio lavoro di studio, pratica e ricerca sulla musica comincia dal rapporto, non sempre facile, col mio strumento. Proprio per questo, forse per me sarebbe stato naturale esordire con un disco in solo; poi non è andata così, perché per fortuna ho avuto l'opportunità di lavorare assieme ad altri splendidi musicisti, grazie allo sprone di Parco della Musica Records che mi ha dato la possibilità di farlo. Il solo ha però conservato un ruolo centrale e per questo è venuto da sé che "Fera," la quinta traccia, fosse anche la title track. In fondo la pratica del solo, per la mia esperienza, è tra gli esercizi più "feroci" possibili sopra un palco, perché ti costringe al rischio di essere nudo di fronte al pubblico, essendo privo di compromessi, come mi insegnano i maestri che hanno approfondito questa disciplinapenso a

Evan Parker
saxophone, sopranob.1944

Peter Evans
trumpetMassimo De Mattia
fluteAAJ: Tornando al gruppo: quanto del lavoro è invece dovuto ai tuoi compagni e come li hai scelti?
MDP: La scelta è stata dettata dalle esperienze comuni che abbiamo fatto e dal rapporto che condivido con loro. Una scelta elettiva, affettiva in senso sia personale che artistico. La loro sensibilità e le attitudini artistiche, stilistiche, sono state fondamentali per la realizzazione del mio lavoro. Con
Adolfo La Volpe
guitar, electricGiorgio Distante
trumpetLucio Miele
drumsAAJ: Tornando al tuo rapporto con lo strumento, quanto improvvisi al flauto?
MDP: Nella pratica, sempre: è una continua ricerca di materiali e strategie per dare una forma all'improvvisazione. Così, quando studio, improvviso e prendo appunti o mi registro, ascolto, imito, in modo da poter replicare quel che mi è piaciuto. Anche se poi, inevitabilmente, ciò da cui parto prende strade diverse, si trasforma in altro e diventa una nuova risorsa. Ma è anche vero che sul palco, in fondo, nulla si inventa e quello che appare nell'improvvisazione è spesso frutto di un "incontro" precedente. Tutto quanto proviene dallo studio è qualcosa cui torno a dar forma in concerto.
AAJ: Quanto conta il fatto che tu suoni più strumenti, della stessa famiglia ma dai timbri e dai colori così diversi?
MDP: Ti ringrazio per questa domanda, perché effettivamente la scelta dello strumento tra soprano, alto o ottavino influenza la costruzione delle idee da concretizzare, e viceversa. E ciò non solo per il timbro, ma perché nella pratica sperimento possibilità musicali e strategie dell'improvvisazione differenti a seconda del tipo di flauto. In questo disco, per esempio, l'ottavino compare molto spesso a seguito delle necessità musicali: in "Dogville" insieme alla chitarra elettrica alla stessa altezza crea un impasto che non sarebbe stato possibile con gli altri due, non solo per una questione di registro. L'alto, invece, è circoscritto al solo, per ragioni affettive, e a pochi altri brani, le songs "Identica" e "Un giorno bianco."
AAJ: So che hai lavorato col compositore Admir Shkurtaj, un musicista singolare e molto interessante, ma che si muove in ambiti un po' diversi dai tuoi. Che influenza hanno avuto esperienze di questo genere?
MDP: Ho suonato qualche anno con Admir, un musicista intenso e un compositore molto cerebrale da un lato, eppure con le mani continuamente dentro la materia sonora dall'altro. Durante il lavoro, ero coinvolta nel processo creativo, scriveva su di me o su gli altri musicisti, con quelle che in quel momento erano le risorse di ognuno di noi. Condividere il lavoro con lui mi è servito molto, ha cambiato la mia percezione dell'ascolto e alcune riflessioni sulle composizioni di Fera nascono proprio da quell'esperienza.
AAJ: Facciamo un salto indietro: alle spalle di tutte queste esperienze cosa c'era? Come ti sei avvicinata allo strumento?
MDP: Ho cominciato a suonare alle scuole medie a indirizzo musicale, pensavo avrei studiato la chitarra, e poi invece mi sono ritrovata con questo strumento che non sapevo nemmeno come fosse fatto. Inizialmente è stata forse una questione di riconoscimento: mi sentivo brava in qualcosa e perciò mi impegnavo. Crescendo, ho iniziato a conoscerlo, in alcuni momenti ho cercato di "superarlo," spesso ispirandomi ad altri strumenti, cercando a tutti i costi una voce diversa dalla sua. Ci ho fatto pace nel tempo, scoprendo i mille mo(n)di in cui il flauto si esprime e tanta incredibile musica, da

Hermeto Pascoal
multi-instrumentalist1936 - 2025
Rakesh Chaurasia
fluteAAJ: E adesso? Intanto sarebbe bello che il quartetto di Fera suonasse dal vivo...
MDP: Certamente, anche se non so bene come si faccia perché avvenga. Abbiamo qualche data estiva tra Puglia, Lazio e Sicilia. Ma mi piacerebbe molto portare il progetto anche fuori dall'Italia. Poi, oltre a Fera, sto portando avanti il mio progetto in solo e ho qualche collaborazione in ballo. Tra le altre, un nuovo trio con le bravissime

Silvia Bolognesi
bass, acousticMaria Merlino
saxophone, baritoneAAJ: Conosco Silvia molto bene e stimo Maria da quel che ho ascoltato di lei. Bello anche che tu sia coinvolta in un gruppo tutto al femminile.
MDP: Sono molto entusiasta anche io di questo trio. La connotazione tutta al femminile non è casuale probabilmente e va bene nella misura in cui i progetti musicali siano il pretesto per qualcosa di interessante, come in questo caso, continuando a indagare la questione delle dinamiche del potere criticamente, al di là della compilazione di un bando. Prossimamente, infine, registrerò con il sassofonista

Simone Alessandrini
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Francesco Massaro
Nicholas Remondino
Paolo Damiani
Marco Colonna
Admir Shkurtaj
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Peter Evans
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Hermeto Pascoal
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