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Clusone Jazz – XXX Edizione
ByGiravano brutte voci, lo scorso inverno, sulla trentesima edizione del Clusone Jazz.
C'era chi diceva che si sarebbe svolto in forma ultra-striminzita. Chi diceva che sarebbe saltato completamente. Il blog Mondojazz aveva addirittura pubblicato un programma-pesce d'aprile, tanto artisticamente improbabile quanto scaramanticamente benaugurante.
Personalmente, non ho mai avuto dubbi sul fatto che gli organizzatori del festival avrebbero fatto di tutto per celebrare il trentennale nel modo più degno possibile. Naturalmente le ristrettezze di budget hanno reso necessaria qualche limatura rispetto alle edizioni precedenti, ma questo non è necessariamente un fatto negativo.
Una delle misure adottate per ridurre i costi (e per tutelarsi da un meteo ballerino), è stata ad esempio quella di rinunciare - per le tre serate conclusive - alla Corte Sant'Anna, e di spostare la sede dei concerti al chiuso, in teatro. Rinuncia da un certo punto di vista dolorosa. E' piacevole stare in una bella piazza, con un tetto di stelle, ad ascoltare buona musica. Ma è anche vero che la musica - soprattutto certa musica - si ascolta meglio in teatro.
L'aspetto forse più controverso delle passate edizioni - le collaborazioni con località assai distanti dal capoluogo seriano, che avevano svilito il ruolo del palco di Clusone - è stato risolto riducendone il numero, creando attraverso di esse una sorta di percorso di avvicinamento verso le tre serate conclusive, e comunque mantenendo a Clusone i concerti più importanti e significativi.
Complessivamente, le azioni di contenimento intraprese hanno generato un cartellone meno fitto rispetto alle precedenti edizioni, ma molto più coerente a se stesso, all'identità, alla storia del festival.
C'erano vecchi amici di Clusone, come il Doppelmoppel o il Quartetto Trionfale, che ci hanno ricordato quanto forti e caratterizzate fossero le esperienze avant europee degli anni '70-'80. I fratelli Bauer, Gunther "Baby" Sommer, Helmut "Joe" Sachse, Uwe Kropinski, Barre Philips, Manfred Schoff, Gianluigi Trovesi... Pur facendo cose non molto diverse da quelle di allora, questi musicisti ci hanno fatto ascoltare un jazz che alle orecchie dell'ascoltatore odierno continua a suonare come nuovo, fresco, attualissimo.
C'erano grandi nomi del jazz di ricerca europeo contemporaneo, che difficilmente abbiamo occasione di vedere in Italia. Stiamo pensando in particolare al duo Simon Nabatov - Nils Wogram, artefici di uno splendido concerto. Godibile, rigorosissimo, di rara intensità.
Ci sono state delusioni d'autore, ovvero concerti sulla carta molto interessanti, ma che non hanno retto alla prova dei fatti. Stiamo pensando al duo Bojan Z - Julien Lourau, deludente nella forma e nella sostanza. Pochi echi balcanici, troppi ammiccamenti, un uso eccessivo e poco convincente del Rhodes, esecuzioni prive di emozione. Solo nel bis, un traditional bosniaco, si è avuto un accenno di quello che sarebbe potuto essere, e invece non è stato.
Ci è piaciuto poco anche il progetto Funky Football Plays Bitches Brew - ospite Médéric Collignon. La rilettura dello storico album davisiano è infatti sembrata priva di idee divergenti, troppo vicina all'originale per essere davvero intrigante. Molto volume, poca dinamica. Più che un progetto, una jam- session a tema.
Ci sono state graditissime conferme, come il quartetto Tinissima di Francesco Bearzatti (Giovanni Falzone, Danilo Gallo e Federico Scettri), qui con il progetto dedicato a Malcolm X e in versione unplugged causa maltempo, e il trio "Beautiful Dreamers" di Bill Frisell (Eyvind Kang alla viola e Rudy Royston alla batteria), forse l'unico tra i jazzisti contemporanei per il quale mi sento di spendere il termine genio.
E poi incontri tra elementi di formazioni diverse, concerti di sotto-insiemi di formazioni più ampie, molte performance in solo. Certo un modo per ottimizzare il budget, ma anche la formula ideale per dare spazio alla ricerca più autentica.
Insomma, sia pure in modo traumatico e sofferto, attraverso una cura dimagrante né cercata né voluta, ma a nostro parere necessaria, Clusone Jazz ha riscoperto la propria vocazione. La propria identità di festival con una linea artistica ben precisa, che presenta nomi di grande valore ed estranei al giro dei soliti noti, che è catalizzatore di incontri e situazioni inedite, che è punto di riferimento per chi ama un certo tipo di musica.
La necessità aguzza l'ingegno. Bentornato, Clusone Jazz!
Foto di Luca Vitali (la prima), Roberto Cifarelli (la seconda) e Dario Villa (la terza).
Ulteriori immagini di questo festival sono disponibili nelle gallerie di : Bill Frisell Trio (di Dario Villa) DoppelMoppel (di Luca Vitali)
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