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Clusone Jazz - XXIX Edizione
ByIl tema grafico di questa ventinovesima edizione di Clusone Jazz era un grande orologio, con il simbolo "-1" in bella evidenza. Un ovvio richiamo all'approssimarsi di una scadenza importante, il trentennale della manifestazione. Ma forse anche una sottolineatura del fatto che questa edizione di Clusone Jazz è stata, senza ombra di dubbio, particolare.
Di transizione, verrebbe da dire guardando all'orologio ed al "-1" di cui sopra. Di ristrettezze economiche, si arriva a concludere raccogliendo qualche informazione in più. La crisi in queste valli ha colpito duro. Inevitabili le conseguenze sul festival. Due sponsor storici ed importanti si sono ritirati. Impossibile confermare alcuni grossi nomi su cui si puntava inizialmente. Più complessa l'organizzazione di tutta la manifestazione.
In situazioni come queste, riuscire comunque a mettere in piedi un festival ampio ed articolato è un lavoro enorme che merita tutto il nostro riconoscimento. E dunque, piuttosto che lamentare l'assenza di musicisti di primissimo piano, preferiamo sottolineare gli aspetti positivi del programma di quest'anno.
Lo spazio accordato ai musicisti italiani, dal quartetto Mickey Finn (Terragnoli, Pacorig, Gallo, De Rossi) al Passing Notes di Gaspare De Vito (con Coatti, Bartoli, Mineo), dal Pascal Duo (Caliri e Mirra) allo Stargazes Trio (Santimone, Padovani, Bigoni).
La presenza di numerosi trombettisti. Cuong Vu, Fabrizio Bosso, Giorgio Li Calzi, Luca Aquino, Alberto Mandarini, Ron Horton, Mirco Rubegni, cui possiamo virtualmente aggiungere Miles Davis (sul quale è stato presentato il libro "Miles Davis-Bitches Brew, Come si costruisce un capolavoro") e Guido Mazzon (autore con Guido Bosticco del libro "La tromba a cilindri. La musica, io e Pasolini"). Un ampio spettro di modelli stilistici ed interpretativi dello strumento, davvero interessante.
Lo sguardo sul jazz dell'est-Europa, con il pianista albanese Markelian Kapidani ed il trio The Skopje Connection (Georgi Sareski, Luca Aquino, Dzijan Emin)
Infine, alcuni organici sempre piacevoli da ascoltare come l'Arcoluz Trio di Renaud Garcia Fons (ospite Luciano Biondini) o la Cosmic Band di Gianluca Petrella.
Tra i concerti cui abbiamo assistito (le tre serate svoltesi a Clusone), ci è piaciuto molto il Man Size Safe di Ben Allison, con Steve Cardenas, Ron Horton, Rudy Royston, ospite Michael Blake. Gran senso compositivo, esecuzione molto curata dal punto di vista delle dinamiche, rigore ed ironia. Interessante anche il duo Alberto Mandarini-Daniele Tione, che vive del contrasto tra l'estroversione del trombettista e l'anima più introspettiva del pianista. Tra atmosfere free e notturni piemontesi, potremmo dire prendendo spunto dai titoli di due tra i brani in scaletta. Con intenso lirismo e piacere dell'esecuzione.
Da riascoltare il quartetto "Lunaria" di Luca Aquino (Giovanni Francesca, Gianluca Brugnano, Nicolò Faraci). Abbiamo avuto l'impressione che l'assenza del contrabbassista titolare (Marco Bardoscia) abbia spinto il gruppo a mettere in scaletta i brani più semplici del proprio repertorio. Ciò ha indubbiamente agevolato l'inserimento di Faraci, ma ha anche penalizzato il risultato complessivo del concerto, troppo schiacciato sui mezzi tempi.
Non ci ha convinto il quartetto di Giovanni Guidi, con Dan Kinzelman, Stefano Senni, Joao Lobo, ospite Michael Blake. Musica datata nella concezione (i quartetti di Keith Jarrett) e sconclusionata nell'incedere. Il talento c'è. Si può fare di meglio.
Ci siamo annoiati con i Quintorigo. Il loro progetto Play Mingus è oleografico, musicalmente trascurabile, posticcio. Viene da chiedersi come abbiano fatto gli elettori del referendum Top Jazz a premiarli quale "Miglior Formazione del 2008". Ma questa è un'altra storia.
Al di là dei commenti sui singoli concerti, tuttavia, ci preme fare una considerazione di carattere più generale. Gli economisti dicono che la crisi sarà lunga, molto lunga. Strutturale, non contingente. Questo significa che le condizioni difficili in cui gli organizzatori di Clusone Jazz si sono trovati ad operare quest'anno potrebbero diventare la norma. Si impone quindi una riflessione su come affrontare le edizioni future.
Se fare un passo indietro e tornare alle origini, ovvero ad un festival fatto di pochi, eccellenti concerti sul palco di Clusone, e di un ristretto numero di concerti nei comuni immediatamente limitrofi, nei quali dare spazio a musicisti meno conosciuti ma accuratamente selezionati e meritevoli di attenzione.
Oppure se proseguire nell'espansione territoriale e temporale avviata negli ultimi anni, puntando ad una manifestazione grande dal punto di vista dei numeri (molti concerti, in molte località, su un'area geografica molto estesa), ma inevitabilmente diluita nella sua identità.
A nostro avviso, si tratta di un dilemma di facile soluzione. Il confronto tra le vecchie e le più recenti edizioni del festival parla chiaro.
"-1," segna l'orologio di Clusone Jazz. Transizione. Agli organizzatori il compito di decidere cosa e come sarà il festival nei prossimi anni. In bocca al lupo!
Foto di Luca Vitali
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