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Fabrizio Puglisi: fra Africa, jazz e suoni analogici


Fabrizio Puglisi
pianoProbabilmente ciò è dovuto anche al fatto che egli, come tanti altri suoi colleghi, non si preoccupa di affrontare in modo adeguato gli aspetti pratici e organizzativi della sua promozione concertistica tramite l'aiuto di collaboratori e agenti fidati. Non è un caso quindi se alle mie domande relative alla comunicazione e al mercato nel jazz egli risponde in parte svicolando; dimostra così il suo disinteresse nei confronti dell'argomento, ripiegando invece su temi che gli stanno maggiormente a cuore.
Nonostante tutto ciò il 2017, che ha visto l'uscita di tre suoi CD significativi, è stato un anno di grande attività per il pianista; è per questo che non si poteva perdere l'occasione di coinvolgerlo in un'intervista a tutto tondo, in cui approfondire i vari aspetti della sua visione musicale.
All About Jazz Italia: Nel corso dell'ultimo ventennio c'è stata una graduale e consapevole evoluzione della tua visione musicale, fino a raggiungere la piena maturità attuale. Sei d'accordo?
Fabrizio Puglisi: Ti ringrazio per il complimento, l'evoluzione c'è stata certamente ma è tutt'altro che compiuta. Come atteggiamento cerco sempre di espandermi oltre alle cose che ho già fatto e anche adesso mi sto ponendo nuovi traguardi e obiettivi.
AAJ: Nella tua attività attuale, ci puoi sintetizzare le tue collaborazioni più importanti e i progetti consolidati?
F.P.: Il settetto Guantanamo è un progetto a cui lavoro dal 2010 cercando di sintetizzare il patrimonio della musica tradizionale e popolare afrocubana con il jazz, l'improvvisazione e la composizione di nuovo materiale. Nel settembre di quest'anno è uscito il CD Giallo Oro per l'etichetta Caligola. Il repertorio spazia dai brani originali a versioni profondamente rielaborate di "Un Poco Loco" di

Bud Powell
piano1924 - 1966

Lennie Tristano
piano1919 - 1978
Lo stesso tipo di ricerca c'è anche nel progetto Fawda, che condivido con Danilo Mineo alle percussioni e Reda Zine che canta e suona il guimbrì, un antico basso tradizionale marocchino. Il repertorio di Fawda prende ispirazione dalla musica Gnawa, una tradizione nordafricana legata alla trance e alla guarigione che noi abbiamo conosciuto andando a Essaouira e Marrakech per incontrare e suonare con alcuni maalem, le autorità sociali e spirituali che rappresentano questa cultura ancora viva e ben radicata, con tantissime similitudini tra l'altro con la Santeria cubana. Abbiamo registrato in Marocco il disco Road to Essaouira con musicisti locali e due dj-producer inglesi, gli Swami Million, portando dentro la musica Gnawa i nostri suoni analogici, synth e piano Fender, l'improvvisazione ispirata da Sun Ra a Coltrane e, senza esagerare, qui e lì qualche beat elettronico. Adesso dal vivo suoniamo con Martino Bisson, in arte Brothermartin, che fa il beatmaker usando sampler e l'elettronica in genere.
AAJ: ? il caso di approfondire appunto il tuo interesse per l'Africa, le esperienze maturate e le collaborazioni con musicisti africani.
F.P.: L'Africa è da sempre una delle mie grandi fonti d'ispirazione, sin da quando

Franco D'Andrea
pianob.1941

Han Bennink
drumsb.1942

ICP Orchestra
band / ensemble / orchestraAAJ: Ci puoi parlare in particolare della tua recente esperienza etiope?
F.P.: Quest'anno sono andato a suonare in Etiopia con l'ottetto Atse Tewodros, guidato dalla cantante e scrittrice italo-etiope Gabriella Ghermandi e composto da alcuni tra i migliori musicisti di Addis Abeba, abituatissimi a mescolare le loro conoscenze con sonorità moderne anche estreme. Per esempio il nostro percussionista etiope Misale Legresse ha tra i suoi idoli Han Bennink e Paal Nillsen-Love! Con Atse Tewodros andremo a suonare in febbraio in India e in settembre 2018 negli USA, sempre che Trump ci faccia entrare...
Ma soprattutto in Africa mi piace il modo comunitario, collettivo in cui si vive la musica come strumento di aggregazione sociale, come strumento espressivo condiviso e riconosciuto da tutti come valore. Andare in Africa da musicista è un privilegio; se ti sai porgere con umiltà puoi entrare in profondità nella cultura di un posto in cui la musica scandisce i tempi di tutto quello che succede: chi nasce, chi muore, le stagioni, chi sta bene, chi sta male... altro che Twitter!
AAJ: Come è nata e su cosa si basa invece la collaborazione con John De Leo, documentata recentemente su disco?
F.P.: Con John ci siamo conosciuti quando siamo stati invitati, insieme ad

Achille Succi
clarinetb.1971
Il risultato è il CD (e vinile) Sento Doppio, che ben rappresenta la varietà di soluzioni a cui siamo arrivati. ? un disco spiazzante perché ha in sé cose molto diverse: dagli ambiti più jazzistici di "Naima" o del monkiano "Crepuscule with Nellie" a episodi rumoristici o brani originali scritti da me e John come frutto di sessions d'improvvisazione. C'è anche un moderato uso del looper e un cospicuo ricorso al pianoforte preparato; in due brani inoltre ospitiamo

Gianluca Petrella
tromboneb.1975
AAJ: ? ancora in attività il trio Rope con

Stefano Senni
bass, acoustic
Zeno De Rossi
drumsb.1970
F.P.: Il trio Rope è tornato in attività da un paio di anni dopo i due CD che erano usciti per El Gallo Rojo nel 2005 e 2009. Abbiamo ripreso a cercare nel repertorio del jazz, rivolgendo la nostra attenzione a tutta la storia di questa musica. Nel nostro repertorio si alternano

Jelly Roll Morton
piano1890 - 1941

John Zorn
saxophone, altob.1953

Duke Ellington
piano1899 - 1974

Misha Mengelberg
piano1935 - 2017

Paul Motian
drums1931 - 2011

Bill Frisell
guitar, electricb.1951
AAJ: Si sono poi verificate delle collaborazioni occasionali, ma riuscite: per esempio nella primavera 2017 a Bologna il trio con

Cristina Zavalloni
vocalsF.P.: Con Cristina e Gianluca è stato molto divertente e speriamo possa succedere ancora in futuro! Per i miei progetti in genere ho una gestazione lunga: arrivo in studio di registrazione per documentarli solo dopo lunghi periodi di prova e vari concerti dal vivo. Sicuramente anche gli incontri estemporanei hanno una loro magia e immediatezza, soprattutto quando hai l'opportunità di suonare con musicisti come Cristina e Gianluca: lì ti senti libero di rischiare perché sai che gli altri capiscono al volo dove vuoi andare.
AAJ: In concerto recuperi spesso brani dei maestri del jazz: Monk, Mingus, Ellington, i Sudafricani degli anni Settanta... Cosa ti spinge a queste rivisitazioni?
F.P.: Devo ammettere che in molto jazz dei nostri giorni sento una conoscenza a volte un po' superficiale della tradizione del jazz. Io personalmente ho imparato che i grandi "rivoluzionari" di questa musica avevano invece i piedi ben piantati nella conoscenza dal passato, penso a Monk e al suo pianismo "stride," a

Charles Mingus
bass, acoustic1922 - 1979

Jimmy Blanton
bass, acoustic1918 - 1942

Miles Davis
trumpet1926 - 1991

Dizzy Gillespie
trumpet1917 - 1993
Ho sempre avuto come riferimento alcuni musicisti d'avanguardia con cui ho avuto la fortuna di suonare e che conoscevano questa tradizione a menadito:

Steve Lacy
saxophone, soprano1934 - 2004

Lester Bowie
trumpet1941 - 1999

Louis Sclavis
woodwindsb.1953
AAJ: Il professionismo comporta anche dotarsi di una propria pronuncia personale e distinguibile. In parte non significa anche portare al pubblico quello che si aspetta, nel repertorio come nelle modalità espressive?
F.P.: Si, certo. E qualche volta tutto diventa abbastanza prevedibile. Bisognerebbe forse che un musicista creativo cercasse di non ripetersi mai, anche se questo è difficile ma non impossibile se si guarda, anche lì, ai grandi del passato. Io sono attivo in campi molto diversi tra loro, il pubblico può essere disorientato dal vedermi in un trio jazz come Rope, poi con synth analogici e piano Fender e un dj in Fawda, o in duo con un danzatore. Chi conosce un minimo quello che faccio sa che non deve aspettarsi sempre la stessa cosa...
AAJ: Ma la musica è anche comunicazione e mercato! Vi operano varie categorie: agenti, addetti stampa, critici, produttori discografici, organizzatori di rassegne e festival... Che importanza assegni a queste diverse categorie?
F.P.: La musica è anche mercato, certamente, ma la considerazione più amara è che il jazz, le musiche improvvisate e di ricerca rappresentano un mercato povero, in cui per sopravvivere è necessario (con poche eccezioni) affiancare l'attività didattica a quella concertistica. Per me non è un problema perché la didattica mi piace, mi permette di studiare, approfondire e soprattutto di condividere le mie conoscenze. La didattica è alla fine il vero lavoro "socialmente utile" che faccio, investo tempo ed energie nel mantenimento di una cultura che è messa a dura prova dai modi in cui la musica viene consumata di questi tempi. Un lavoro necessario per far sì che tra vent'anni ci sia ancora chi suona ed ascolta musica con attenzione e passione senza affidarsi all'ideologia del "su spotify c'è tutto."
AAJ: L'insegnamento appunto: cosa e dove insegni?
F.P.: Da quest'anno insegno pianoforte jazz al Conservatorio di Verona, dopo aver insegnato nei Conservatori di Bologna e di Trapani. Inoltre insegno anche ai corsi invernali di Siena Jazz, con grande soddisfazione essendo stato per vari anni uno studente dei Seminari Senesi. L'inserimento dei corsi di Jazz secondo me ha giovato molto al conservatorio come istituzione, permettendo l'immissione di energie, programmi e stimoli nuovi, utilissimi a chi vuol fare della musica il proprio mestiere. Non si può negare altresì che il jazz in conservatorio tenda ad accademizzarsi e omologarsi un po' troppo; mi fa sorridere pensare che

Billie Holiday
vocals1915 - 1959

Ornette Coleman
saxophone, alto1930 - 2015
AAJ: Per il prossimo futuro cosa stai progettando?
F.P.: Non usciva un mio disco dal 2013 e quest'anno è stato molto importante perché sono usciti CD e vinili di alcuni progetti a cui lavoravo da anni: Fawda, Guantanamo e il duo con John De Leo! Adesso vorrei sviluppare il repertorio con Guantanamo, inserendo nella band un percussionista classico, Luca Valenza, che suona marimba, congas e percussioni classiche. Non sarà semplice trovare occasioni per suonare dal vivo con un ottetto, ma è molto stimolante pensare a cosa potrebbe venire fuori lavorando al confine tra composizione ed improvvisazione con questa grande orchestra di percussioni. Si tratterebbe di mantenere da una parte il retaggio ancestrale del beat afrocubano, andando nel contempo verso una ricerca di timbri e forme nuove, che trae ispirazione dall'uso della percussione nella musica contemporanea da Edgar Varese in poi.
Riprenderò inoltre a fare dell'improvvisazione in duo con Gunter "Baby" Sommer, grandissimo percussionista e pioniere del jazz e dell'improvvisazione europea, con cui suono da vari anni. Si fa per dire "improvvisazione" perché ormai Gunter ed io abbiamo una consuetudine che rende le nostre improvvisazioni delle composizioni in real time, oltre a un repertorio che comprende Strayhorn, Monk e brani nostri. Abbiamo il master di un CD già pronto, ma stanno sparendo le etichette discografiche...
Foto: Luciano Rossetti (Phocus Agency)
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