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Joe Armon-Jones al Monk di Roma

Roma
31.1.2020
"Mi chiedi cosa sia una famiglia. Penso che la famiglia sia una comunità. Uno spazio dove non devi comprimere te stesso, dove non devi fingere o esibirti. Puoi mostrarti completamente, puoi essere vulnerabile. Ti presenti come sei, senza giudizio, senza derisione, senza paura o violenza. Non siamo limitati dalla biologia, possiamo creare la nostra famiglia. Dobbiamo farcela."
Ho pensato più volte alle parole della scrittrice, attivista dei diritti transgender Janet Mock (registrate da Blood Orange nel disco Negro Swan) durante il concerto di
Joe Armon-Jones
pianoQuella del pianista inglese, membro del gruppo

Ezra Collective
band / ensemble / orchestraLo scambio tra i musicisti sul palco, ad iniziare dai due sassofonisti

Nubya Garcia
saxophone
James Mollison
saxophoneLuke Wynter
bass, electricI musicisti uniscono linee, formano lacci ben definiti, difficili quasi da slegare o da decifrare. Quello è il perimetro della loro comunità. All'interno le pulsazioni di una famiglia libera, sperimentale e coraggiosa, interagiscono tra loro per scoprire la direzione del viaggio, per renderlo più aperto, sorprendente. Non ci sono rincorse o traguardi individuali da esibire, ma una curiosità della ricerca, il desiderio di conoscere la manifattura musicale dell'altro, tastarla nei suoi innumerevoli giri, voli iperbolici, incoraggiando le collisioni atomiche tra i suoni, il loro approdo in terre sconosciute. Ed è a partire da queste aperture improvvise che si creano prospettive folgoranti.
La performance è l'occasione per presentare l'ultimo progetto discografico di
Joe Armon-Jones
piano
Gilles Peterson
electronicsJoe Armon-Jones
pianoNella comunità di Armon-Jones si sfida la contaminazione, si costruiscono architetture complesse, fatte di sezioni e blocchi sonori che si incastrano perfettamente nella palude futuristica calpestata da ogni musicista. Sembra esserci un accordo segreto: bisogna conoscere la complessità, osservarla fino in fondo, per raggiungere la leggerezza (come nel brano "Almost Went Too Far," Starting Today). Ritroviamo gli stessi stimoli in "Yellow Dandelion" (singolo tratto da Turn to Clear View), negli accordi, nelle discese vertiginose o nei ribattuti prepotenti del rhodes di Jones. C'è un dialogo reale e uno sotterraneo, viscerale, che sale dalle gambe, attraversa il corpo e dalle mani libera turbolenze iperattive. Nelle loro espressioni, negli sguardi fissi sull'altro, negli occhi infuocati del pianista londinese vive una materia pulsante che prende forme diverse, colori imprevedibili, prima di esplodere definitivamente e diventare polvere sottile. Quelle particelle non si disperdono nell'aria, si riconnettono e riprendono la loro corsa verso un nuovo inizio. Il live si chiude con "Starting Today" (traccia del primo disco), un mix di improvvisazioni intricate e un groove che cavalca un sistema sonoro dalla forte intensità ritmica, merito anche del batterista Morgan Simpson e del bassista Luke Wynter e della potenza vocale trascinante di Asheber.
Eccola, di fronte a noi, la nuova Babilonia: è il loro regno, la loro comunità inclusiva, mai giudicante, in cui è impossibile mentire ed è ammesso sbagliare. L'apocalisse nello spazio di Joe Armon-Jones inverte il giro di rotta, riavvolge il nastro e ricomincia dall'inizio, da un "oggi" che è una stimolazione rivoluzionaria alla conoscenza, all'apertura, alla liquefazione dei generi, in nome di una collettiva crescita musicale.
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