Il jazz non è soltanto un genere musicale: per qualcuno è anche un luogo affettivo, dove ritrovare le proprie radici, vecchie conoscenze, episodi della propria vita, atmosfere familiari. Accade anche per
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data-original-title="" title="">Chris Rogers in Voyage Home, il cui titolo, che può essere tradotto con "rotta verso casa," lascia intendere come l'autore abbia voluto percorrere un viaggio sonoro a ritroso nel jazz così come nella sue personale formazione musicale, riunendo per l'occasione alcuni dei più talentuosi musicisti in circolazione. Due diverse formazioni concorrono al progetto: una con
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data-original-title="" title="">Xavier Davis al pianoforte che prende il posto del collega, cambiando anche l'atmosfera dei brani, arricchendo la struttura dell'album. Lo swing e il bebop ne costituiscono gli elementi principali, sempre costantemente sostenuti dalla sezione dei fiati, con protagonisti Rogers alla tromba, e
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data-original-title="" title="">Michael Brecker al sax. Grazie alla tecnologia, nella quinta traccia a lui dedicata, "Ballad for B.R.," è stato inserito un passaggio al trombone (eseguito nel 1965) dal padre dell'autore,
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data-original-title="" title="">Barry Rogers, scomparso nel 1991.
Un album a suo modo misterioso, registrato nel 2001 e uscito nel 2016, con nove brani originali che sviluppano un suono intenso, a tratti vivace su tonalità swing, a tratti più meditativo, affidato ai lenti passaggi dei fiati; un giusto mix di mainstream e sperimentazione, con un interplay sobrio, che lascia intravedere brevi spazi di luce lunare fra uno strumento e l'altro; l'influenza tenebrosa di
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data-original-title="" title="">Miles Davis emerge con discrezione, in un bebop elegante che qua e là strizza l'occhio alla Vecchia Broadway, per brevi lampi luminosi, rapide eccezioni in un album dai colori crepuscolari.
"Counter change" è un coinvolgente brano dal sapore di swing, sostenuto dalle vivacissime percussioni di
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data-original-title="" title="">Xavier Davis, mentre "The Mask," titolo emblematico dove appunto il jazz cala la maschera per rivelarsi sottoforma di un garbato free, in virtù degli enigmatici passaggi di Nash al sax; un brano caldo e colorato come una sfilata allegorica a New Orleans, che però non rinuncia a incursioni sonore più classiche, con il pianoforte in sottofondo di Davis che nell'ultimo terzo si scatena su un atipico honky tonk appena latineggiante. Un brano che coinvolge e sorprende,
Uno dei momenti più interessanti dell'album, musicalmente e umanamente, arriva con il citato a Barry Rogers (musicista interessato a sperimentare contaminazioni fra generi diversi); l'apertura, con Rogers e Nash che duettano ai fiati, costruendo in apertura una sorta di struggente marcia funebre che ha il sapore di un tramonto sull'Hudson. Poi l'atmosfera si dilata, assumendo un'elegante compostezza urbana, sullo stile di Miles Davis.
Rogers tocca i suoi momenti migliori nella vivace apertura di "Whit's'End" e nei compassati fraseggi di "Ever After," lasciando poi ampi spazi ai colleghi al sax con i quali dialoga creando atmosfere emotivamente intense, in virtù delle quali, il suo jazz trova un'eco nella narrativa di Philip Roth, in particolare in Pastorale Americana, romanzo di ampio respiro sulle proprie radici e sul senso di appartenenza. Rogers appartiene al mondo del jazz, e questo suo album è il modo per raccontarlo al mondo.
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