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Michel Benita: "sono proprio un figlio degli anni '60/'70"

Andy Sheppard
saxophoneb.1957
Michel Benita: La prima registrazione con Andy Sheppard, Trio Libero, mi ha in effetti offerto l'occasione di incontrare Manfred Eicher. La comunicazione con lui è stata subito facile. Aveva già ascoltato il primo disco di Ethics e l'aveva visibilmente apprezzato. Quando ha sentito che stavamo per registrare un nuovo album, mi ha proposto di farlo per l'ECM. Come per i due album con Andy, la registrazione si è svolta in un clima al tempo stesso sereno ed entusiasta. Manfred ci ha fatto alcune proposte, in particolare sulla forma (la "sceneggiatura") delle composizioni, il più delle volte pertinenti! E soprattutto, la formula che lui utilizza alla RSI di Lugano, ovvero la registrazione dei musicisti "live," senza cuffie, come farebbe per della musica da camera, ci ha messo in una posizione di mutuo ascolto che dà dei risultati incredibili. Il suo piacere nell'essere in sala di registrazione, e il suo perfezionismo, sono molto stimolanti.
AAJ: In una recente intervista, hai detto: "Inquadrare il silenzio" è uno slogan molto bello che sintetizza bene il mio ingresso in ECM. Puoi articolare meglio questo concetto?
M.B.: Ho preso questa immagine da

Miles Davis
trumpet1926 - 1991

Jon Hassell
trumpetb.1937
AAJ: La tua band si chiama Ethics. ? un nome importante, una sorta di manifesto programmatico. La musica, il jazz in particolare, ha (ancora) una valenza politica?
M.B.: ? vero che non ho scelto questa parola per caso. Le associo un'idea di condivisione, di attenzione all'altro, di interesse per le altre culture e, certamente, di morale nel senso filosofico del termine. In senso strettamente musicale, la parola condivisione si applica perfettamente a questo gruppo, mi sembra. Non ci sono dei veri soli, a parte qualche volta per

Matthieu Michel
flugelhornb.1963
Ma mi faccio carico anche di un'accezione più politica del termine, vista la crudele assenza di Etica nella nostra epoca attuale, in cui l'individualismo vince quasi sempre sul collettivo, le persone che dovrebbero dare il buon esempio si comportano come dei teppisti, e l'umanità si ingegna per saccheggiare il pianeta in una fuga in avanti suicida. Deluso dall'azione politica, torno forse a dei valori più "hippy," come il rispetto della Natura e la fede nelle piccole azioni individuali che, messe una accanto all'altra, finiranno per far muovere le cose, in particolare dal punto di vista dell'Ecologia.
E se certamente penso che la Musica possa aiutare a vivere, sono però meno sicuro che possa cambiare il mondo. Forse contribuirvi?
AAJ: In Ethics ci sono musicisti francesi, affiancati da musicisti provenienti dal Giappone, dalla Norvegia, dalla Svizzera. Trovo che la musica abbia comunque uno spirito quasi-folk, tratto peraltro comune a molto jazz francese (penso per esempio all'ARFI o a

Louis Sclavis
woodwindsb.1953
M.B.: Più che il folklore immaginario caro all'ARFI, io rivisito il folk che è già esistito (sorride, N.d.R.). E in particolare quello anglosassone, che è la musica che ho praticato da teenager, alla chitarra. Blues, folk, ma anche rock. Quello che apprezzo in queste musiche è la gioia di stare insieme per costruire, collettivamente, un bel suono. Il folk, è spesso un anti-ego. Ci si mette in cerchio (cosa che cerchiamo di fare su palco con Ethics, in semi-cerchio), e si ricama su dei temi imposti. Il bluegrass, per esempio, è estremamente vicino al jazz e i suoi rappresentanti attuali più eminenti, come

Chris Thile
mandolinb.1981

Jerry Douglas
multi-instrumentalistPer quanto riguarda invece la nazionalità dei musicisti, ho sempre proceduto per colpi di fulmine, e spesso capita che i musicisti con cui ho voglia di suonare siano stranieri. Concepisco il pianeta "jazz" come privo di frontiere e non credo di essere l'unico a pensarla così: molti musicisti amano mescolarsi, scoprire altre culture e parlare altre lingue. Credo che sia nel nostro DNA.
AAJ: Tempo fa hai lavorato con

Nguyen Le
guitar, electricb.1959
M. B.: Ho imparato ad amare la musica vietnamita con Nguyên Lê ed il suo progetto Tales from Vietnam, a cui ho partecipato. E sono sempre stato attratto dal Giappone. ? stato lo stesso Nguyên a presentarmi Mieko. Di queste culture apprezzo enormemente la gestione dello spazio sonoro, il culto della lentezza e, di nuovo, il rispetto del silenzio. Mi attrae anche un certo minimalismo. Stranamente, ritrovo queste caratteristiche nei musicisti scandinavi.
AAJ: Nella tua musica c'è sempre uno spiccato senso melodico. ? un'esigenza forte? (penso ad esempio in rapporto all'avanguardia, o a musiche meno "accessibili")
M.B.: Il primato della melodia mi viene dal gusto per la canzone. In questo mi sento molto vicino alla sensibilità italiana di alcuni amici come

Rita Marcotulli
piano
Enrico Rava
trumpetb.1939

Danilo Rea
piano
Matthieu Michel
flugelhornb.1963

Eivind Aarset
guitar
James Taylor
guitar and vocalsb.1948

Joni Mitchell
vocalsb.1943

Stevie Wonder
vocalsb.1950

Frank Zappa
guitar, electric1940 - 1993
AAJ: E tuttavia, la forma dei brani è molto aperta...
M.B.: Torniamo a quello che dicevo prima: una linea melodica che faccia da punto di ancoraggio, da riferimento, e intorno a quella può succedere di tutto. Sono stato segnato nel profondo dall'estetica che Miles Davis ha sviluppato con In a Silent Way, e soprattutto con Bitches Brew. ? chiaramente una musica senza concessioni, aperta all'improvvisazione e alla sorpresa, ma totalmente agganciata al suono della sua epoca, e che resta accessibile. Mi piace molto il modo in cui

Keith Jarrett
pianob.1945
AAJ: L'elettronica. Sei programmatore, e in Ethics troviamo (con grande pertinenza!) i colori di quella che chiami l'organic electronics di Eivind Aarset. Personalmente, trovo che la convivenza tra jazz ed elettronica non sia sempre facile. Cosa ne pensi?
M.B.: Ho usato molto l'elettronica tra il 2000 e il 2006, quando suonavo nel gruppo Ladyland di

Erik Truffaz
trumpetb.1960

Bugge Wesseltoft
pianob.1964

Nils Petter Molvaer
trumpetb.1960
AAJ: Hai lavorato con lo scenografo Hilton McConnico per degli show di Hermès. La moda rappresenta un mondo molto distante dal jazz. Esperienza interessante?
M.B.: Il mio lavoro con Hilton non era tanto centrato sulla moda, quanto su delle "esposizioni," che di fatto erano delle installazioni effimere, molto prossime ad uno scenario cinematografico. Hermès (una grande casa) ha lasciato molta libertà, a lui e a me. Hilton ha una cultura cinematografica immensa, e in termini di musica faceva molti riferimenti ai grandi film americani. A contatto con lui, ho imparato a realizzare, in pochissimo tempo, degli esercizi di stile molto compiuti. Musica sinfonica, rock, pop, jazz, mariachi (sorride, N.d.R.), di tutto. Per me è stato un grande piacere, e ho anche imparato ad utilizzare quegli strumenti che più tardi mi sono serviti per i miei progetti. Dunque, quell'esperienza non è stata solo arricchente, ma direi fondamentale per il mio percorso.
AAJ: In un'intervista a Le Monde del 2004, hai detto "Rimpiango i tempi in cui il pubblico aveva gusto, forza, interveniva. Sento una certa mollezza. La gente ama tutto mollemente. Tu suoni al 40% o al 120%, ed è lo stesso. Ti chiedono un bis e buonasera". Oggi la pensi ancora così?
M.B.: Me ne ero dimenticato (sorride, N.d.R.). Diciamo che oggi sfumerei un po' questa frase dato che noi, musicisti sul palco, siamo responsabili di quello che il pubblico prova. E se il pubblico reagisce mollemente, forse è perché abbiamo suonato... mollemente? In effetti, mi ricordo che mi stavo riferendo ad un'epoca precisa, gli anni '70 ribelli e contestatori, anni in cui il pubblico spesso reagiva in modo eccessivo, non esitava a fischiare gli artisti. Forse tutto ciò era vivace e pittoresco, ma non sono sicuro che mi piacerebbe veder tornare quell'epoca. Un giusto mezzo, forse. Diciamo che il pubblico di oggi è ad immagine e somiglianza dell'epoca del politicamente corretto: un po' troppo saggio...
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Bugge Wesseltoft
Nils Petter Molv?r
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