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Pino Minafra: musicista militante

Da anni milito culturalmente facendo nascere opportunità di conoscenza e divulgazione di questa strana musica
Pino Minafra
Nell'intervista che segue si parte dalla realtà attuale della MinAfric Orchestra per risalire al ruolo avuto dall'
All About Jazz: Quando e come è nata la MinAfric Orchestra? Con quali obiettivi musicali?
Pino Minafra: L'orchestra nasce nel 2007 per dare voce e suono alla nostra terra: un Sud sempre più complesso e in fase di espansione politico-culturale. Una visione chiara e lucida, un atto di amore il nostro (mio e di mio figlio Livio) verso una terra che da secoli è stata ponte per l'oriente, attraversata, conquistata e vissuta da spagnoli, francesi, arabi, turchi, saraceni, normanni... Una terra che porta nel suo DNA la diversità come ricchezza, quindi l'accettazione del diverso. Questo per me è jazz e rappresenta la chiave per un futuro equilibrio mondiale fatto di pace e accettazione.
AAJ: Mi pare che nel materiale tematico, negli arrangiamenti, nel tipo di interplay collettivo, nello spirito complessivo la MinAfric rappresenti una continuità evolutiva nei confronti delle tue precedenti esperienze: in particolare il Sud Ensemble e la Meridiana Multijazz Orchestra. Confermi? O nelle tue intenzioni ci sono differenze da rimarcare?
P.M.: Sì, confermo. Si tratta dello stesso concetto. Un Sud caleidoscopico, più elaborato e musicalmente condiviso a più mani da Livio Minafra, Roberto Ottaviano, Nicola Pisani, il quartetto vocale delle Faraualla e dal sottoscritto. Credo e spero si tratti di un progetto più maturo e consapevole della nostra storia e identità.
AAJ: Altra esperienza d'importanza storica, che sta a cuore a te come agli appassionati, è l'Italian Instabile Orchestra, che nel repertorio ha dimostrato impronte diverse e che negli anni ha avuto una visibilità altalenante. Cosa ci puoi dire della sua identità/vita attuale e delle sue esibizioni recenti o future?
P.M.: Dopo l'incontro con

Cecil Taylor
piano1929 - 2018

Anthony Braxton
woodwindsb.1945

Duke Ellington
piano1899 - 1974

Phil Minton
vocalsb.1940
AAJ: Sembra che tu abbia sempre prediletto gli ampi organici, che hai diretto con autorevolezza nelle loro esuberanti potenzialità. Puoi ricordarci invece piccole formazioni, in cui vige un diverso tipo di interplay, che per te hanno costituito sodalizi empatici, particolarmente significativi?
P.M.: Il trio con

Han Bennink
drumsb.1942

Ernst Reijseger
cellob.1954

Misha Mengelberg
piano1935 - 2017

Han Bennink
drumsb.1942

Più recentemente ricordo il quintetto "Canto General" con

Louis Moholo-Moholo
drums1940 - 2025
? indubbio che per l'interplay è decisamente più bello suonare in piccoli gruppi... ma i grandi affreschi musicali si fanno con grandi dimensioni, con vari colori e ampie sonorità, che esercitano un grande fascino sul mio modo di sentire e fare musica... Si tratta di una vera e propria necessità espressiva e compositiva.
AAJ: Purtroppo bisogna riscontrare che, rispetto a molti tuoi colleghi, negli ultimi anni sei stato molto parsimonioso nelle pubblicazioni discografiche. Quale è il motivo? Cosa ci puoi anticipare su uscite prossime?
P.M.: Da anni milito culturalmente facendo nascere opportunità di conoscenza e divulgazione di questa strana musica tramite festival, rassegne, progetti speciali, ecc. In un paese più equilibrato e attento alla cultura sicuramente mi sarei dedicato a fare "solo" musica... invece la consapevolezza di essere soli e abbandonati in un sistema oscurantista, provinciale, berlusconiano, decadente, mi obbliga a fare la mia piccola parte in difesa di un'utopica bellezza, apparentemente inutile e invece così sacra e indispensabile alla vita di tutti per elevare la nostra qualità esistenziale. Tutto questo in un Paese che il mondo ci invidia, parlo dell'Italia tutta con la sua cultura, il cibo, il cinema, la moda, l'arte, la storia...
Ecco perché ho sacrificato la parte discografica della mia vita di musicista a vantaggio di un impegno politico-culturale concreto. Credo di aver rinunciato a quattro o cinque CD in più per il bene della causa e non mi pento. Il prossimo lavoro sarà quello di documentare su CD la MinAfric Orchestra. ? un lavoro enorme e complesso che dura dal 2007 con circa diciotto musicisti, ma credo che oggi la formazione e le proposte musicali siano mature per essere fermate su CD.
AAJ: Venendo a tuo figlio Livio, giovane pianista con una sua forte personalità, quali sono gli aspetti che accomunano i vostri approcci musicali?
P.M.: La bellezza, la curiosità, collegare i vari linguaggi accettandoli, restare legati alle radici della nostra terra (un Sud reale o immaginario, dal grande respiro), ma su tutto raccontare in musica la propria storia secondo una visione e una sensibilità personali. Questo concetto ha segnato tutta la mia vita e Livio lo ha fatto suo; sono veramente convinto che sia l'unico modo per restare se stessi in musica e nella vita: Livio è già da anni questo.
AAJ: Come vedi la realtà del jazz italiano? Non trovi che sia la somma di tante esperienze vitali, ma isolate, "di provincia," fra le quali la Puglia rappresentano un'area importante, assieme al Friuli, alla Sardegna, al Veneto (...ma anche alle aree metropolitane di Roma o Torino)? Non trovi che ci sarebbe bisogno di un maggior coordinamento/scambio/integrazione fra queste esperienze?
P.M.: Da sempre la cosiddetta "Provincia" è attenta al nuovo e propensa al rischio. E ovunque c'è fuoco sotto la cenere: i cosiddetti "bollenti spiriti" nascono ovunque... Le grandi città o i grandi festival sono paranoicamente prigionieri e al servizio del nome che "tira" e fa massa, non rischiano e appiattiscono loro stessi, non acculturano il pubblico dando soluzioni tranquillizzanti e spesso soporifere... ma questo da sempre. Spero in una futura e rinata Associazione Musicisti Jazz che possa avere la forza e la capacità di riequilibrare il panorama nazionale tra musicisti stranieri che "tirano" e "progetti italiani" con contenuti alti e forte progettualità.
AAJ: A quanto pare ti sta particolarmente a cuore la situazione dei jazz festival nazionali.
P.M.: Come dicevo prima, i grandi eventi sono prigionieri di loro stessi: nessun rischio, nessuno slancio di ideali, di passioni vere, e soprattutto nessuna voglia di acculturare il pubblico, educandolo ad una cultura europea. Fredde strategie per avere il consenso dei numeri sia a destra che a sinistra, una sorta di berlusconismo che abita da molti anni anche e soprattutto a sinistra. Siamo dei provincialotti ignoranti e non abbiamo idea della nostra storia e delle sue enormi potenzialità: prova ne è che un'esperienza unica come l'Instabile languisce dimenticata da tutti. Da molti anni ormai questa è la nostra povera Italia, mal rappresentata da individui volgari, decadenti, senza cultura e spesso violenti. Un recente studio scientifico in Francia ha dimostrato che la cultura produce sette volte di più dell'industria dell'auto. L'incapacità di gestire la nostra storia e il nostro patrimonio è da sempre un problema tipicamente italiano, enorme!
AAJ: Riguardo ai festival, veniamo alla tua esperienza personale: nel 2012 sei tornato alla direzione artistica del Talos Festival di Ruvo di Puglia. Con quale obiettivo di fondo?
P.M.: Dopo molte vicissitudini dolorose e traumatiche, sono tornato a dirigere il Talos con la speranza che si vada verso una Fondazione Talos, per fare in modo che sul territorio si radichino un "laboratorio" e uno sforzo politico-culturale di dimensione europea, a disposizione delle future generazioni. Da oltre trent'anni costituisce la mia piccola-grande battaglia a favore della musica, della ricerca delle radici italiane, della sua storia e del grande Sud.
AAJ: In particolare, riguardo alla valorizzazione del patrimonio culturale bandistico in tutte le sue espressioni, ritieni che esso rivesta un significato di particolare importanza in Puglia rispetto ad altre regioni d'Italia?
P.M.: La banda è la colonna sonora del mondo. Non c'è paese che non abbia un organico dove far confluire la sua anima, i suoi suoni e la sua storia. Nel Sud la banda si è perfino sostituita al "Belcanto" e alle orchestre sinfoniche, acculturando milioni di contadini e intere generazioni; con una operazione audace e folle (perché è impossibile sostituirsi alle voci umane...) ha creato un suono unico e originale a livello mondiale, in quanto, soprattutto nel repertorio lirico, gli ottoni simulano la voce umana, i clarinetti i violini, ecc.
La Puglia dovrebbe proteggere e tutelare questo patrimonio immateriale riconosciuto dall'Unesco con una legge. Non è accettabile che sia individuata solo come la regione della Taranta: ci sono circa ottomila musicisti invisibili che portano musica, lavoro, cultura capillarmente in tutta la regione da oltre due secoli. La mia esperienza con la Banda di Ruvo in ben ventidue anni ha dimostrato che questo suono è vivo, attuale e capace di calcare i palcoscenici più importanti del mondo, come testimonia appunto il suo curriculum. Quindi se la Taranta è mediaticamente più appetibile (e per questo la nostra sinistra ha puntato su di essa) è imbarazzante che non ci sia un'attenzione culturale e politica su un suono socialmente e culturalmente importante come quello della banda. Questa è la mia battaglia e lo scopo del Talos Festival è quello di evidenziare e far emergere un sommerso fatto di uomini, storia e cultura di primaria importanza: un'operazione unica nel suo genere, che è potuta nascere appunto in Puglia.
AAJ: In che modo e con quali finalità intendi favorire un reale, fertile, autentico momento di scambio/incontro fra jazz e patrimonio bandistico?
P.M.: Come accennavo prima, in ventidue anni musicisti come

Michel Godard
tuba
Gianluigi Trovesi
saxophone

Willem Breuker
saxophone1944 - 2010
AAJ: Cosa ci puoi anticipare sulla prossima edizione del Talos Festival?
P.M.: L'edizione 2014 comincerà con l'Anteprima, dal 4 al 10 settembre, dedicata all'esplorazione di bande di diversa provenienza e origine: bande di conservatori, centri sociali, associazioni, bande militari e professionali... Dall'11 al 14 si terrà poi il Talos Internazionale, che guarda all'Europa con progettualità più complesse. Quest'anno siamo in contatto con l'Instant Composers Pool olandese: intendiamo rievocare questa importante scena musicale europea, dedicando un'attenzione particolare a figure storiche come Misha Mengelberg (ormai purtroppo irrimediabilmente malato) e il grande Willem Breuker (che non è più con noi). Sono in programma una mostra e un concerto di Han Bennink, e forse l'intera I.C.P sarà protagonista di incontri pomeridiani con musicisti italiani e di masterclass.
Inoltre si prevedono un omaggio a

Frank Zappa
guitar, electric1940 - 1993

Keith Tippett
piano1947 - 2020
Al momento però tutte queste idee devono essere verificate e confermate, sono ancora ipotesi da ufficializzare.
Foto
Antonio Coppola.
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