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Umbria Jazz 14 - Fra spettacolo e buon jazz

Perugia, varie sedi
11-20.07.2014
Lo spettacolo
"Divertimentificio," "Industria del divertimento": orribili neologismi, coniati anni orsono poi caduti in disuso, per denotare una delle vocazioni trainanti dei centri balneari della costa romagnola. Anche Umbria Jazz, per buona parte della sua programmazione, è tesa a creare divertimento e spettacolo, occasioni di eccitazione collettiva e di aggregazione giovanile. Con un'opportuna offerta musicale e con ottimi risultati il festival dà quindi una risposta a esigenze socio-antropologiche primarie.
In questo spirito sono quindi pienamente giustificate tutte le esibizioni gratuite nel centro storico, lungo Corso Vannucci e nelle piazze alle sue estremità, ed anche molte delle serate nella capiente Arena Santa Giuliana: le due notti "Funk & Fun," il Techno- logical Dance Music Festival che, presentato da Ralf, a tarda notte ha incluso anche

Giovanni Guidi
piano
Enrico Rava
trumpetb.1939

Gianluca Petrella
tromboneb.1975

Dr. John
piano1940 - 2019
In tale ambito si possono inserire anche l'esplicita e semplice comunicativa del jazz afro-antillese del settantenne

Monty Alexander
pianob.1944

Hiromi
pianob.1979

Michel Camilo
pianob.1954
Oltre agli appuntamenti d'intrattenimento, a Umbria Jazz 14 si è potuto ascoltare anche ottimo jazz, nomi vecchi e nuovi, proposte intelligenti da cui trarre spunto per riflessioni di carattere generale; è appunto su questi concerti che vale la pena di soffermarsi.
L'evento

Herbie Hancock
pianob.1940

Wayne Shorter
saxophone1933 - 2023
Con un interplay sempre concentratissimo, Shorter, che ha suonato solo il soprano, e Hancock, che ha sfruttato tutte le possibilità delle tastiere, hanno saputo costruire una performance impegnativa, davvero sorprendente per motivazione e creatività; performance che tuttavia, con i suoi 105 minuti, ha avuto il difetto, non marginale, della prolissità, senza riuscire a condensare una più essenziale sintesi espressiva.
Il nome nuovo: Yilian Canizares
Il fatto che Yilian Canizares, cantante e violinista cubana ma stabilitasi a New York, fosse decantata più per la sua bellezza che per le sue doti musicali poteva insospettire e fuorviare. In realtà la veloce ascesa nel panorama internazionale della giovane protagonista è la dimostrazione di almeno quattro verità:
eleggere New York (metropoli affollata tanto di concorrenza quanto di opportunità) come base per maturare la propria esperienza e come trampolino di lancio è scelta molto frequente, anche se forse non indispensabile;
un marketing costante e mirato, teso alla creazione di un personaggio ed alla diffusione della sua visibilità, è invece fondamentale;
la bella presenza non disturba, anzi aiuta, ma non può essere determinante;
l'ambizione, la motivazione personale e l'originalità della proposta sono altrettanto importanti... lo spessore artistico potrà aumentare con l'esperienza.
Nel concerto al Teatro Morlacchi la Carizares ha rivelato di possedere un mondo musicale sufficientemente delineato e personale: l'andamento delle sue canzoni, i suoi testi, la conduzione ritmica, esprimono un forte radicamento nell'originaria cultura cubana. La voce, dal timbro brunito e dal delicato vibrato, è "educata" e intonata. Ancor più deciso è l'uso del violino, ora mosso ora melodioso, ricordando i violinisti del tango argentino oltre che quelli della tradizione cubana. In definitiva la proposta dell'emergente Canizares, sostenuta adeguatamente da tre bravi partner, non è apparsa affatto banale; il consolidamento del suo successo nell'ambito di un etno-pop forbito ed elegante, non certo in quello del jazz più impegnato, dipenderà da vari fattori.
Le verifiche: Melissa e Cecile
Una delle peculiarità di Umbria Jazz, oltre a quella di far "scoprire" nomi nuovi al pubblico italiano, è quella di riproporre alcuni di quei nomi anche nelle edizioni successive, dando quindi la possibilità di verificare la crescita e la qualità delle loro proposte. Quest'anno è stato il caso di

Melissa Aldana
saxophone
Cecile McLorin Salvant
vocalsb.1989
Per quanto riguarda la tenorista cilena, le sue intenzioni si sono rivelate più aderenti ad un mainstream aggiornato che alle espressioni più creative dell'attualità, confermando i suoi modelli stilistici, da Rollins a Mark Turner. Si è avuta comunque conferma delle qualità della sua musica: il peso della composizione, il sound morbido e soprattutto la capacità di costruire un fraseggio ben articolato, ricco di sviluppi, pause funzionali, citazioni... La Aldana ha inoltre trovato una sintonia con gli efficaci partner del Crash Trio: il contrabbassista cileno Pablo Menares e il batterista cubano Francisco Mela.
Nonostante questi aspetti apprezzabili, un certo distacco emotivo e un drive non trascinante, in definitiva la mancanza ancora di una definita e decisa impronta formale-espressiva, hanno impedito al concerto perugino di decollare, come per altro è capitato nelle altre due apparizioni (a Orvieto e Modena) a cui ho potuto assistere.
Più che a Orvieto Cecile McLorin Salvant ha dimostrato di essere una cantante personale e anomala. Già la scelta del repertorio è significativa, rivolgendosi ad autori di vari periodi e scuole del Novecento, ma evitando gli standard più frequentati. La sua emissione vocale, basata su un costante controllo dell'intonazione e del volume, prevalentemente basso fino al sussurro, ha presentato un timing sapiente e una grande ricchezza dinamica e timbrica, con inflessioni ora infantili ora drammatiche o ironiche. Cecile si è inoltre confermata leader esigente, capace di ottenere un accompagnamento calibratissimo dai partner del suo trio, fra i quali ha spiccato per personalità il pianista

Aaron Diehl
pianoNel complesso l'approccio e l'emotività interiorizzata della cantante hanno generato un mondo poetico-espressivo sofisticato, molto orgoglioso del consapevole distacco con cui vengono reinterpretati momenti diversi della tradizione. Un mondo che fra l'altro esige dal pubblico una fruizione conseguente, partecipata e complice; basta lasciarsi gradualmente irretire dai ritmi dilatati e dalle insinuanti malie dell'interprete per poi provare forti emozioni di fronte alla versione vibrante di una folk song come "John Henry."
La conferma: Ambrose Akinmusire
Una decisiva prova di maturità è venuta da

Ambrose Akinmusire
trumpetb.1982

Theo Bleckmann
vocals
Walter Smith III
saxophone, tenorb.1980

Sam Harris
bassb.1986

Harish Raghavan
bass
Justin Brown
drumsLa musica di Akinmusire sta segnando un'ennesima tappa significativa in quel processo di autenticazione, di proclamazione di una propria specifica identità (direi di "nobilitazione" se non temessi di essere frainteso) a cui è continuamente sottoposto il jazz afroamericano.
Fra gli altri concerti di jazzisti stranieri al Morlacchi rimane da registrare la roboante traduzione in chiave pop-funky-tecnologica di mondi folk ormai lontani da parte della

John Scofield
guitarb.1951
La Linea italiana del jazz
Come sempre a Umbria Jazz non è mancata quella "linea italiana del jazz" dai caratteri distintivi, impostasi da anni sul mercato e seguita da una vasta schiera di fan. Innanzi tutto il trio Doctor 3 (

Danilo Rea
piano
Fabrizio Sferra
drumsIl Yatra Quartet di Enzo Pietropaoli, prossimo all'incisione del suo terzo disco, del quale sono stati anticipati alcuni brani, ha inanellato una musica distesa e avvolgente, dalle tinte pastello e dalle influenze non solo mediterranee, ma anche scandinave o sudamericane.
Anche il quintetto storico di

Paolo Fresu
trumpetb.1961
Assieme a Fresu,

Stefano Bollani
pianob.1972

Hamilton de Holanda
mandolinb.1976

Anat Cohen
clarinetb.1975
In questa corrente italiana del jazz rientra solo tangenzialmente un maestro come Franco D'Andrea, che a capo del suo sestetto (completato da Andrea Ayassot,

Daniele D'Agaro
clarinet, bassb.1958

Mauro Ottolini
sousaphoneb.1972
Questa linea italiana inoltre si estende nelle diversificate proposte delle giovani leve.

Alessandro Lanzoni
piano
Francesco Cafiso
saxophoneb.1989
Italian Young Jazz
Ma a Perugia le esperienze più attuali e di ricerca del jazz italiano erano ospitate dalla sezione Young Jazz, organizzata dall'omonima associazione di Foligno per il secondo anno consecutivo a Palazzo della Penna. Si è succeduta una selezione assai significativa di quanto sta fermentando oggi in Italia, per altro in sintonia con la sperimentazione degli esponenti dell'avant jazz internazionale.
Da segnalare innanzi tutto due solo performance di piano nella raccolta sala sotterranea. Con concretezza, un tocco d'ironia e un'enorme varietà timbrica, risultante da un vasto campionario di oggetti, giocattoli e carillon,

Fabrizio Puglisi
pianoIn una delle sue rare esibizioni in solo, anche

Alfonso Santimone
pianoFra i gruppi ha spiccato il quintetto guidato dal giovane pianista Simone Graziano. Con il suo progetto Frontal, inaugurato tre anni fa, egli ha proposto una musica attuale e ben organizzata, di lontana ascendenza free, in cui toniche e ossessive progressioni si sono alternate a introspettivi momenti di distensione. I temi, esposti prevalentemente all'unisono, e la pulsante conduzione ritmica fornita da


Dan Kinzelman
saxophone, tenor
David Binney
saxophone, altob.1961
D'impianto ancor più esasperatamente free è risultata l'apparizione di

Piero Bittolo Bon
saxophone, alto
Jamaaladeen Tacuma
bassb.1956
Il quartetto Brooks di

Cristiano Arcelli
saxophone, alto
Zeno De Rossi
drumsb.1970
Il progetto Ghost di Dan Kinzelman, anch'esso già su disco, prevede quattro fiati, che all'occorrenza suonano anche le percussioni: Mirco Rubegni alla tromba, Manuele Morbidini e Rossano Emili, oltre al leader, alle ance. I quattro si sono esibiti, in acustico e nella penombra, al centro di una sala del Palazzo della Penna, mentre il pubblico era disposto sui quattro lati. La proposta, decisamente originale e coinvolgente, con esiti del tutto diversi da quelli lasciatici in passato dai quartetti di sassofoni, si è dipanata su original, ma anche su una marcia funebre spagnola ed altri temi anomali e suggestivi. Un camerismo disteso non ha escluso turgidi impasti dei fiati o una rituale eccitazione percussiva.
Un'impronta originale, tutt'altro che cameristica o artificiosa, ma forse ancora da rodare appieno, ha dimostrato infine anche il quartetto Eraserheads, formatosi circa un anno fa: Gaia Mattiuzzi alla voce, Enrico Terragnoli alle chitarre e banjo,

Stefano Senni
bass, acousticFoto
Daniele Franchi.
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