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Umbria Jazz Winter 23

30.12.2015-03.01.2016
Per certi aspetti abbiamo assistito a un'edizione in tono minore per Umbria Jazz Winter, soprattutto dal punto di vista dell'originalità dell'offerta. Esasperando una formula vincente già sperimentata in passato, quasi tutti i protagonisti invitati, quelli di maggior richiamo come i nomi meno noti, sono stati ospitati "in residenza" e proposti a più riprese in sedi diverse, talvolta con progetti differenti. Nonostante questa ripetitività, la maggior parte dei concerti hanno registrato il tutto esaurito e il pubblico ha dimostrato di gradire le proposte. Se questo è l'obiettivo principale degli organizzatori, ben venga che sia stato raggiunto, magari contenendo le spese per gli ingaggi. I numeri danno ragione di questa impostazione: quindicimila biglietti venduti nei centoventi concerti, con un incasso di oltre trecentomila euro.
Appuntamento fisso al Museo Greco, a mezzogiorno e alle diciotto per quattro giorni consecutivi, era quello con il chitarrista brasiliano

Romero Lubambo
guitarb.1955
Già presente ad Orvieto un paio d'anni fa, il duo

Steve Wilson
saxophoneb.1961

Lewis Nash
drumsb.1958

Ron Carter
bassb.1937

Jimmy Giuffre
clarinet1921 - 2008
La raffinata musica del duo ha rappresentato una personale e mirata sintesi della storia del jazz, oltre che una delle proposte di più elevata caratura jazzistica di questa edizione del festival, anche se la loro accurata rifinitura della forma talvolta ha rischiato di slittare verso un accademismo estetizzante.

Kurt Elling
vocalsb.1967

Frank Sinatra
vocals1915 - 1998

Nelson Riddle
arranger1921 - 1985
Se la presenza scenica del quarantottenne cantante non è apparsa molto variata, come pure la sua motivazione e il suo approccio interpretativo, non si può dire che le sue doti vocali siano state paragonabili a quelle di altre recenti apparizioni: la pronuncia si è rivelata leggermente impastata, la sua agilità di modulazione un po' appesantita e soprattutto quella proverbiale malizia, confidenziale e allusiva, venata d'ironia e ricca di inflessioni eccentriche, non ha posseduto lo stesso smalto contagioso di altre occasioni. Il tono della performance è andata comunque crescendo fino a sfociare in una tonica e swingante versione di "The Lady Is a Tramp."
Non poco diversa e ben più convincente è risultata l'apparizione del quartetto di Elling con

Rosario Giuliani
saxophone, altoQuando chiamato in scena, Giuliani si è inserito senza difficoltà nel tessuto tramato con smaliziata perizia dai partner abituali del cantante, incastonando quattro esemplari assoli, in cui il veloce fraseggio del suo contralto ha costruito trascinanti parabole emotive.
Il sassofonista romano è stato anche l'animatore di un altro doveroso omaggio: quello tributato a

Ornette Coleman
saxophone, alto1930 - 2015

Fabrizio Bosso
trumpetMarcello Di Leonardo
drums
Ed Blackwell
drums1929 - 1992
Quello che ha colpito nei loro due set al Palazzo del Popolo sono state la finalizzata compattezza degli intenti che ha guidato l'interplay, l'esecuzione puntigliosa e senza sbavature degli arrangiamenti, dovuti prevalentemente al sassofonista, le calde, vibranti sortite dei solisti. Da sottolineare a tale proposito il virtuosismo tecnico e l'ardito disegno strutturale dei due fiati della front line, quasi in competizione fra loro. Magistrale inoltre l'introduzione del contrabbassista a "Lonely Woman," brano struggente come pochi altri dedicato a

Natalie Cole
vocals1950 - 2015
Un altro protagonista del nostro jazz,

Paolo Fresu
trumpetb.1961

Marco Bardoscia
bass, electric
Daniele di Bonaventura
bandoneonb.1966
Da un'atmosfera mediterranea serena e un po' malinconica, che sembrava rievocare gli anni Cinquanta, si è passati ad un tango stralunato, a noti temi di Fresu eseguiti anche in altri contesti, a due arie tratte dal "Don Giovanni" di Mozart e tradotte nella versione per orchestra d'archi, ad un mosso, esotizzante episodio per trio... Nell'insieme sono emersi un carattere composito ma concatenato, un affresco sfaccettato, dai colori ora pastello ora più foschi, dai sotterranei rimandi interni... Una musica da immaginare appunto in senso filmico, anche se per assurdo è probabile che assistendo al film si percepiscano con maggiore difficoltà la continuità e la presenza del commento sonoro. Particolarmente riuscita l'elaborazione per orchestra d'archi, tromba e contrabbasso solisti, del famoso "Fellini" di Fresu, proposto come bis.
A questo punto è il caso di registrare un fenomeno di costume, un'alterazione della fruizione concertistica per via dell'uso sempre più diffuso e indiscriminato degli smartphone et similia: si scattano maldestramente migliaia di foto, anche col flash, si traffica continuamente con gli schermi luminosi per consultazioni compulsive di qualsiasi genere d'informazioni e per condividere l'evento con chi non è presente... tutto fuor che rilassarsi e farsi guidare dal flusso musicale. A un concerto di musica classica può capitare che il vostro vicino di posto sia in perenne agitazione col suo smartphone? Penso di no; il che la dice lunga su quanto il jazz venga tuttora considerato musica d'intrattenimento anziché musica d'arte.
In molte occasioni si crea così un vero e proprio inquinamento motorio, luminoso e acustico che esaspera chi vorrebbe condizioni d'ascolto tranquille nei limiti del possibile. Fino a pochi mesi fa prima dei concerti si raccomandava di spegnere i cellulari; oggi non solo tale raccomandazione è diventata superflua, ma l'uso degli smartphone elude qualsiasi controllo. Lo so, il mio è un discorso retrò e astioso, che contrasta con la teoria darwiniana dell'evoluzione: sopravvive chi meglio riesce ad adattarsi alle mutazioni ambientali. Per questo vedo il mio futuro di assiduo frequentatore di concerti jazz sempre più penoso e minacciato.
Questa digressione ci porterebbe molto lontano se si sviluppasse il ragionamento sulla natura del jazz e le sue peculiarità, sul rapporto fra musica, pubblico e spazi concertistici in relazione ai diversi generi e periodi storici del jazz e alle possibilità tecnologiche della comunicazione. In questa occasione essa è scaturita dalla necessità di recensire il concerto, il primo in assoluto, che ha visto il collaudato duo Fresudi Bonaventura allargarsi a trio con l'inserimento del contrabbassista pugliese Marco Bardoscia. Il sottoscritto infatti non ha avuto condizioni di sufficiente serenità e concentrazione per recepire e godersi tutte le sfumature di una musica poetica, tutt'altro che esteriore e dalle tinte forti.
In sintesi si può comunque affermare che la ripresa del repertorio del disco In Maggiore, inciso dal duo per la ECM, oltre che confermare la grande empatia tra Fresu e di Bonaventura, accomunati da una sensibilità non comune, ha palesato un diverso trattamento dinamico, timbrico e strutturale grazie alla misurata efficacia del contributo di Bardoscia.
La sera del 3 gennaio la chiusura del festival al Teatro Mancinelli con

Jarrod Lawson
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