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Brda Contemporary Music Festival 2023

Courtesy Ziga Koritnik
Brda Contemporary Music Festival
Sala Cinematografica Medana
14-16.9.2023
Giunto alla sua tredicesima edizione, il Brda Contemporary Music Festival ha, se pur di poco, cambiato sede dal pittoresco borgo di Smartno al vicinissimo paesino di Medana, sempre su una delle meravigliose alture del Collio sloveno ma ha conservato lo spirito e il clima, che ne fanno una rassegna a dir poco unica nell'attuale panorama musicale. Anche quest'anno, infatti, il festival voluto e diretto da

Zlatko Kau?i?
drumsCom'è consuetudine, la rassegna s'è aperta alle 18,00 del giovedi quest'anno il 14 settembre con un introduzione festosa e parzialmente estranea allo spirito del festival e si è conclusa nella tarda serata del sabato con il concerto dei partecipanti all'immancabile workshop affidato a un protagonista dell'improvvisazione europea, stavolta il sassofonista svedese

Mats Gustafsson
woodwindsb.1964
Il concerto di apertura che, se non fosse stato per il tempo, visto il suo carattere avrebbe dovuto tenersi nel cortile a fianco della sala in cui si è svolta la rassegna vedeva in scena il dj Francis I., alias Francesco Ivone, giovane e apprezzato trombettista che in questo caso ha affiancato lo strumento all'elettronica per prodursi in un mix di hip hop, rap, jazz e altro: se ritmi e sonorità non erano pienamente in tono con quanto sarebbe poi seguito, l'improvvisazione anche qui la faceva da padrona e si è così annunciata sotto una diversa forma.
Subito dopo, unico tenutosi fuori dalla sala, è stata la volta di un concerto connesso alla mostra fotografica allestita per l'occasione nel suggestivo e risonate sottosuolo della Casa Commemorativa di Gradnik e Zorzut. Lì, sotto lo sguardo dei musicisti immortalati dal fotografo sloveno Igor Petaros,
Massimo De Mattia
fluteGiusto il tempo di rientrare nella sala principale ed è stata la volta del duo del batterista sloveno Vid Dra?ler e della violoncellista inglese

Hannah Marshall
celloTimi Vremec
bass, electricRobi Erzeti?
drumsA concludere la prima serata è spettato al batterista sloveno Urban Ku?ar, alla testa del suo singolare quartetto con ben tre sax: i contralti di Tilen Lebar e Jure Bor?i?, il soprano e il tenore di

Cene Resnik
saxophoneI concerti del secondo giorno che nel primo pomeriggio aveva visto l'avvio del workshop di Gustafsson sono stati aperti alle 18,00 dalla sassofonista danese

Mette Rasmussen
saxophone, altoIl tempo per una rapida cena e, alle 20,00, le slovene Tea Vidmar e Irena Toma?in hanno offerto un sorprendente e abbastanza inusitato esempio di improvvisazione vocale. Mescolando eco popolari, stilemi contemporanei e sperimentazione, le due hanno dato vita a una tessitura di gorgheggi, lamenti, suoni di gola, brevissime melodie, rumori, in continua variazione e contrappunto. Una performance straniante e spiazzante, non facilissima da seguire e da decodificare, che ha colpito certo per la ricchezza di forme espressive e per l'abilità tecnica, ma anche per la mobile ricchezza dell'affresco complessivo che alla fine ne è scaturito. Una proposta per molti aspetti un po' a latere rispetto ad altre, ma che proprio per questo è apparsa come un valore aggiunto, interrogando gli ascoltatori sulle possibilità che questo tipo di lavoro vocale può aprire all'improvvisazione in generale.
Le proposte originali e in parte a latere erano comunque molteplici in questa edizione del Brda Contemporary Music Festival: lo era infatti anche quella offerta dalla catalana Núria Andorrà, salita sul palco subito dopo per un solo di percussioni. Il suo strumentario era incentrato su un ampio tamburo, utilizzato però nei modi più diversi. Dopo un inizio con percussioni lievi, effettuate con bacchette da vibrafono, l'artista ha infatti sviluppato la parte più interessante della performance lavorando sulle pelli con un piatto, con i quali otteneva stridori, rimbombi, rari rintocchi scintillanti, attraverso quella che appariva una divertita lotta con lo strumento. Si è poi passati a più criptico e un po' sterile lavoro con alcune palline, fatte rimbalzare sulle pelli, cui si sono aggiunte quattro ciotole; gli effetti del tutto hanno avuto momenti interessanti, non valorizzati però da un eccessivo prolungamento dell'artificio e da una conclusione del concerto giunta un po' improvvisa. Spettacolo dunque assai stimolante, anche per l'originalità del modo in cui la Andorrà affrontava la prova in solitudine, ma che forse poteva essere più compiuto e coerente.
La serata si è conclusa con il concerto forse più atteso, nel quale il padrone di casa Zlatko Kau?i? ha fatto da bilanciere tra i sassofoni della Rasmussen e dell'ospite speciale Mats Gustafsson, impegnato anche al flauto. Un concerto che si poteva prevedere a tinte forti, visto che, oltre quanto aveva già fatto vedere la sassofonista danese, anche l'artista svedese è noto per l'energia con la quale suona il baritono e lo interpreta usando tecniche estese. Un po' a sorpresa, invece, la performance si è sviluppata in modo abbastanza diverso: se la Rasmussen, pur mettendoli al servizio della costruzione collettiva, ha sostanzialmente riproposto gli stilemi già mostrati un paio d'ore prima, mantenendo anche elevata la dinamica, Gustafsson ha invece largamente tenuto da parte le prolusioni torrenziali che spesso lo caratterizzano, interagendo con frasi frammentate, talvolta esplosive ma brevi, talaltra impressionistiche e dall'intensità moderata. Una misura, accentuata dal prolungato uso del flauto (suonato anche diviso in parti, con effetti singolari ma non solo rumoristici) e da alcune pause per lasciar suonare i compagni in duo, che ha donato alla formazione grande varietà dinamica e timbrica. Ma a dirigere la scena e a dare equilibrio al trio è stato in primo luogo proprio Kau?i?, artista capace di cogliere tutto ciò che accade sul palco nel corso di un'improvvisazione e grazie a ciò di regolarne il flusso, dettandone tempi e intensità. ? quanto accaduto anche in quest'occasione, l'unica che il batterista sloveno si era ritagliato nella rassegna di quest'anno: Kau?i? è apparso il regista del trio, ora cambiando scenari con improvvisi interventi decisi su piatti e tamburi, ora stemperando eccessi dinamici producendosi in soffusi rumori, ora rialzando energia e velocità con progressive accelerazioni. Un musicista che ogni volta che lo si ascolta stupisce per come si conferma.
L'ultima giornata ha preso il via già alle una, con un altro set che mescolava la musica con un'arte diversa, la poesia. Di scena Nazim Comunale, a declamare alcune delle sue liriche parte in inglese, parte in italiano con l'ausilio del trombettista friulano
Flavio Zanuttini
trumpetFinita la seconda sessione del workshop, i concerti sono ripresi alle 18,00 ancora con un set di musica e poesia, ben diverso però dal precedente. Di scena la poetessa slovena Vida Mokrin Pauer assieme al connazionale Aleksander Arsov, che in questo caso si limitava a un accompagnamento con chitarra elettrica ed elettronica. Si è probabilmente trattato del momento più tradizionale della rassegna, con atmosfere tra la musica popolare e il recitativo cantautorale, ma è egualmente risultato interessante, vuoi perché momenti di improvvisazione hanno fatto capolino più volte, vuoi grazie alla singolare personalità della poetessa, non giovanissima e apparentemente impacciata, ma che invece ha interpretato in modo singolare, ballando per gran parte del suo canto recitativo.
Ben diverso quanto proposto di seguito dalla vocalist svedese

Sofia Jernberg
vocalsDopo di lei si è tornati a immergersi nello spirito della composizione istantanea dialogata con il duo formato dalla pianista austrica
Elisabeth Harnik
piano
Harri Sjostrom
saxophone
Gianni Mimmo
saxophone, sopranob.1957
Come di prammatica, la conclusione del festival è spettata alla formazione composta dai partecipanti al workshop; poiché chi scrive ne faceva parte, ne descriveremo anzitutto alcune caratteristiche "interne."
Il workshop vedeva la partecipazione di ben venti elementi più batterie, chitarre e bassi elettrici, quattro ance, due trombe, tuba, contrabbasso, violoncello, tamburello e voce includenti musicisti d'esperienza, allievi della scuola di Kau?i? a Nova Gorica e anche alcuni dilettanti; Gustafsson lo ha condotto non solo con pazienza e rispetto delle diverse abilità, ma anche con una grande sensibilità e una comunicativa quieta e quasi intima, narrando nelle pieghe del lavoro esperienze personali e aneddoti delle sue collaborazioni con alcuni grandi maestri dell'improvvisazione. Dopo una serie di indicazioni riguardanti il suo modo di dirigere l'improvvisazione sostanzialmente una conduction basata su segni in parte personalizzatisi è lavorato al fine di eseguire una sua composizione improvvisata, "Plugs Extended -to Dror Feiler," che includeva una partitura grafica (di fatto poi non molto utilizzata) e una serie di scenari gestibili a discrezione del conduttore, senza alcuna parte notazionale scritta. Non vi è stata una vera e propria "prova generale" che avrebbe forse influenzato la freschezza improvvisativa del set ma solo delle sperimentazioni limitate, utili a dare a tutti le coordinate per sentirsi a proprio agio all'interno dell'ampio collettivo. Lo stesso Gustafsson prendeva parte alla realizzazione sonora, intervenendo a momenti sia col baritono, sia con flauto, sia con un piccolo flauto etnico in legno.
Come inevitabile in questi casi, essendo sul palco e fin troppo concentrato sul "fare," chi scrive non può in alcun modo dare una valutazione del concerto, durato un po' più di mezz'ora. La percezione è stata quella di un divenire fluido, in un'alternanza di concitazione con gli interventi delle batterie e delle chitarre elettriche, ma anche del leader al baritono e di rarefatta levità l'iniziale alternarsi puntillistico dei singoli suoni, guidati solo dal riempimento degli spazi che si aprivano, lo scambiarsi dei duetti, i rari assoli dei fiati. Con una conclusione dinamicamente più intensa, la sola che ricordava certi lavori di Gustafsson, quali la Fire Orchestra. Il pubblico, comunque, è parso apprezzare, tributando alla formazione applausi non inferiori ad altri concerti.
Volendo trarre delle valutazioni conclusive dalla rassegna, non si può che ribadire quanto detto inizialmente: forse ancor più che in altre occasioni, il Brda Contemporary Music Festival si è confermato un'appuntamento unico nel suo essere una vetrina per conoscere quanto accade in Europa in settorequello dell'improvvisazione "radicale" che pur destando sempre più interesse tra musicisti e appassionati fatica ancora a trovare spazi "istituzionali" per svilupparsi e dar mostra di sé a un pubblico più ampio. Di qualcosa del genere si sentirebbe senza dubbio la necessità anche nel nostro Paese ed è auspicabile che la eco prodotta dal BCMF sia da stimolo per organizzarne quanto prima. Nell'attesa, appena fuori porta, continuiamo a goderci questo festival.
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