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Enzo Favata e Mario Tozzi al Teatro della Compagnia di Firenze

Teatro della Compagnia
Firenze
29.11.2017
Non è raro che la musica jazz, improvvisata o comunque in qualche modo creativa si affianchi e si metta al servizio di altre forme artistiche ed espressive. Talvolta ciò avviene nel cinema, dove più che altro funge da commento, o in teatro, ove in certi casi è possibile un'interazione tra attori e musicisti; talaltra si unisce alla danza, ove tale interazione è ovviamente più propria, e perfino a creazioni pittoriche o plastiche; in non rare occasione si affianca a reading di poesia o testi letterari. Un po' più singolare è che la musica improvvisata, come nel caso che documentiamo, si affianchi a eventi più prossimi alla conferenza che non a quel che siamo soliti chiamare "spettacolo" o "arte."
Sia chiaro, qui non si vuol affatto sostenere che le conferenze e, più in generale, la comunicazione scientifica o culturale siano attività non riconducibili all'arte. Ciò tuttavia non toglie che nella comunicazione scientifico-culturale, anche quando sia divulgativa, brillante e suggestiva, vi sia una parte essenziale nella quale determinanti sono la chiarezza e l'attenzione degli ascoltatori, cose che potrebbero essere ostacolate dalla presenza della musica.
Non è però quel che è successo nello spettacolo che ha visto uniti il geologo Mario Tozzi e il musicista

Enzo Favata
saxophone, sopranob.1956
In questo caso Tozzi ha proposto alcune reinterpretazioni di antichi miti alla luce delle scoperte della geologia e della scienza, dalla pizia di Delfi la cui trance sarebbe stata provocata da esalazioni del terreno, fino al mito più affascinante, quello di Atlantide, che molte tracce archeologiche, antropologiche e geologiche portano oggi alcuni studiosi -e Tozzi -a collocare proprio in Sardegna. Dal canto suo Favata, che dal patrimonio culturale di quell'isola da sempre trae linfa vitale delle proprie originali proposte artistiche, ha presentato brani in buona parte improvvisati, ampiamente rifacentesi a quella tradizione folklorica ma, com'è nel suo stile, riletti attraverso il filtro della sua sensibilità che include elementi jazzistici e di tradizioni musicali delle molte parti del mondo che ha frequentato, usando il clarinetto basso, il sax soprano, ma anche flauti etnici di canna e perfino un piccolo bandoneon, e avvalendosi a più riprese dell'elettronica per autocampionarsi e accompagnare le linee melodiche.
L'accostamento tra la voce e la musica era di base strutturalmente tradizionale, incentrato su un parziale accompagnamento di sottofondo, sufficientemente discreto da non distrarre l'attenzione dalle parole, e su sipari dedicati alla musica, alternati alla narrazione vocale. Tuttavia, in più momenti la sensazione è stata quella di una sostanziale interazione, perché le due parti interagivano a perfezione, con la parola che suggeriva e la musica che apriva scenari immaginativi. Così da ottenere -complice l'indiscutibile maestria di entrambi i protagonisti nei rispettivi ambiti -un effetto finale davvero interessante, oltre che piacevolissimo. A dispetto, va ricordato, del fatto che nessuna delle due componenti fosse né ludica, né standardizzata.
Il successo riscosso al termine della serata, così come la frequenza delle date di questo "strano duo" (solo in parte giustificata dal successo televisivo che arride, anche giustamente, a Mario Tozzi) testimoniano quanto l'accostamento sia riuscito e la realizzazione accurata. Chissà che questa modalità non possa essere un modo per avvicinare un pubblico più ampio a una musica, quella improvvisata, che non gode di particolare popolarità nel nostro paese, se si escludono quei pochi musicisti che, seppur bravi, sono ormai assimilabili per immagine e produzione agli artisti pop.
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