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Maria Pia De Vito e Michele Rabbia: Pergolesi Revisited

Abbiamo cercato una risonanza interiore e di gusto con la musica di Pergolesi, agendo con delicatezza, senza cercare lo stravolgimento, anche nelle pagine di improvvisazione più aperta
Maria Pia de Vito
Anja Lechner
cello
Francois Couturier
piano
Maria Pia De Vito
vocalsb.1960

Michele Rabbia
percussion
All About Jazz: Di chi è stata l'idea di un album così particolare? E quale genesi ha seguito la cosa prima di arrivare alla sala d'incisione?
Maria Pia De Vito: Nel 2011 il Festival Pergolesi, rivolgendosi per la primae finora unicavolta a un musicista jazz, mi aveva commissionato un progetto di rilettura appunto di Pergolesi, senza pormi limiti o indicazioni di sorta. All'epoca stavo lavorando con Anja e Michele e mi è sembrato naturale coinvolgerli, visto l'ottimo interscambio instauratosi tra di noi. Abbiamo chiamato quindi Fran?ois Couturier, musicista di cospicuo bagaglio classico, che aveva già lavorato su pagine pergolesiane, ma nel contempo improvvisatore molto attivo nell'avanguardia francese dagli anni Settanta in poi. Pensavamo proprio a una rilettura "consapevole" di materiale di provenienza classica, però con un senso visionario e avventuroso dal punto di vista delle tessiture sonore, cosa in cui Michele, fra l'altro, è ferratissimo. A Fran?ois sono stati affidati gli arrangiamenti, ma il lavoro è diventato comunque collettivo, visto che ognuno di noi ha scelto brani con cui si sentiva in "risonanza," venendo a rappresentare complessivamente una voce protagonista su diversi registri.
Michele Rabbia: Maria Pia è stata esaurientissima. Posso solo aggiungere qualcosa circa il mio personale percorso all'interno del progetto. Essendo la musica di Pergolesi praticamente priva di strumenti a percussione, questo mi ha concesso una totale libertà di azione, sganciandomi da ogni riferimento, ma nel contempo mi ha creato un po' di difficoltà circa la scelta e l'uso degli strumenti. Penso che la musica classicapur con tutte le virgolette del casorappresenti un materiale molto difficile da trattare, quando è riproposto in una diversa veste, perché la scrittura è talmente precisa e funzionale da non lasciare grandi spazi di elaborazione.
AAJ: Il CD ha una prima parte in cui prevalgono le pagine pergolesiane (primi cinque brani), dopo di che prendete in mano voi la situazione (brani da 6 a 8), con qualcosa che, pur nell'assoluto rispetto dell'aplomb originario, mi pare tocchi anche copiosamente l'improvvisazione più o meno senza rete, come sembrano dire le firme in calce ai vari brani (sempre tutti i musicisti che vi suonano), fino al conclusivo tema di Couturier, che collega un po' le due anime. ? una lettura corretta?
M.P.d.V.: Correttissima, complimenti per l'acume! La scaletta, in effetti, è esattamente quella che hai appena tracciato: un percorso dalla scrittura all'improvvisazione più aperta, e il ritorno alla scrittura per il finale. Per il resto è stato intento comune sfuggire al kitsch sempre in agguato quando si accostano linguaggi diversi. Abbiamo cercato di evitare ogni "barocchismo," in particolare. Io canto con la mia emissione naturale, ho tradotto in napoletano alcuni frammenti dello Stabat Mater, ne ho per così dire "avvicinato al cuore" la narrazione. Abbiamo lasciato quasi intonsi brani che sentivamo come "naturali" al nostro ascolto, e denudato, frammentato, ri-composto, materiale che trovavamo interessante per una rilettura, ma che magari ci sembrava pesante, o troppo didascalico, lasciare cosi com'era. Abbiamo cercato una risonanza interiore e di gusto con la musica di Pergolesi, agendo con delicatezza, senza cercare lo stravolgimento, anche nelle pagine di improvvisazione più aperta.
M.R.: Del resto la componente improvvisativa non poteva mancare, essendo il gruppo composto per tre quarti da improvvisatori.
AAJ: Maria Pia, tu prima dicevi che hai tradotto in napoletano frammenti dello Stabat Mater, e allora ti chiedo: quanto ha contato, per te napoletana, la "napoletanità" d'adozione di Pergolesi?
M.P.d.V.: Il mio primo pensiero, quando ho ricevuto la commissione dal festival di Iesi, è stato trovare, insieme con i miei compagni, del materiale che ci ispirasse alla rielaborazione formale ed armonica, e fosse di stimolo a una rielaborazione hic et nunc, nell'arrangiamento e ri-composizione in tempo reale insiti nell'improvvisazione. Strada facendo, poi, la napoletanità acquisita di Pergolesi inevitabilmente ha "risuonato," è venuta fuori. Mi sono accorta, ad esempio, che "Ogni pena più spietata," che io conoscevo in italiano, in realtà originariamente era in napoletano. "Chi disse ca la femmina" fu per parte sua rielaborato da Stravinskij per il suo Pulcinella (l'arrangiamento di Fran?ois lo cita, di fatto). Quindi una cosa ha chiamato l'altra. Circa lo Stabat Mater, eravamo tutti d'accordo: è stato assolutamente naturale immaginare di rendere in napoletano i passi che avevamo scelto per il nostro progetto. ? stato, per me, un modo di esaltarne la componente narrativa: passare dal latino al napoletano è stato come avvicinare il racconto all'orecchio mio e dell'ascoltatore, trascorrendo dal colto al popolare. Si tratta comunque di una semplice sfaccettatura del lavoro, e neanche la più importante.
AAJ: Questo è il tuo primo album su ECM. Come ci sei arrivata? E com'è stato l'approccio con un contesto cosìdiciamospeciale?
M.P.d.V.: Le cose belle, nella mia carriera, sono sempre accadute da sé, naturalmente. Sono molto felice, e mi inorgoglisce, naturalmente, aver inciso per ECM, dopo trentadue anni di jazz e un certo percorso. La realtà è che ero in contatto con Eicher da qualche tempo: discutevamo di un altro mio progetto che è ancora in corso d'opera. Nel frattempo gli è piaciuto il progetto su Pergolesi, e così abbiamo dato corso a questo. Nei nostri incontri a Monaco, anche con Anja, Fran?ois e Michele, c'è stato un gradevolissimo scambio di idee, e delle sedute di ascolti collettivi per ragionare sulla musica che stavamo elaborando. ? un'esperienza molto gradevole e stimolante parlare con Manfred: partendo dalla musica, non è raro ritrovarsi a discorrere di letteratura, poesia, arte contemporanea. Con lui si parla di arte tout court.
AAJ: Tu, Michele, avevi invece già lavorato con Manfred Eicher, accanto a

Stefano Battaglia
pianob.1965
M.R.: La ricerca è alla base del mio percorso, una ricerca intesa non solo come atto (o azione) musicale, ma anche come dialogo con diverse forme espressive. Conoscevo Couturier da tempo, visto che è molto legato al violinista francese

Dominique Pifarély
violinAAJ: Chiusura di prassi, con la stessa domanda per entrambi: progetti, discografici, concertistici, separatamente o anche insieme?
M.P.d.V.: Con Michele stiamo portando a termine l'elaborazione del Progetto Roden Crater, su James Turrell e il suo gigantesco lavoro di land art, che avevamo presentato a Berchidda nel 2012, e stiamo anche gettando le basi per un duo, formula a cui sto lavorando già in coppia con

Ares Tavolazzi
bass
Huw Warren
piano
Guinga
guitar
Ivan Lins
piano and vocalsb.1945
M.R.: Per quanto mi riguarda, è uscito un mio DVD in solo dal titolo Dokumenta Sonum, che è un "progetto-contenitore" di suoni e immagini. Inoltre ho da poco terminato due registrazioni: la prima con Daniele Roccato al contrabbasso e Ciro Longobardi al piano su elaborazioni di musiche di Giacinto Scelsi, la seconda con Stefano Battaglia al piano ed

Eivind Aarset
guitarFoto
Paulo Seabra.
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