Home » Articoli » Interview » Mauro Gargano: il contrabbasso è il mio giardino segreto
Mauro Gargano: il contrabbasso è il mio giardino segreto

Mauro Gargano
bass, acousticb.1972
All About Jazz: Iniziamo dalla Francia, visto che fai parte del nutrito gruppo di jazzisti italiani che vive a Parigi.
Mauro Gargano: Sì, anche se da qualche mese non sto più proprio in città, ma in una banlieue a una mezz'ora dal centro. Mi trovo bene, ma dopo ventitré anni è stato un bel cambiamentodivenuto necessario dalla crescita della famiglia, visto che ho due bambini di quattro e otto anniche i lockdown della pandemia hanno reso non più differibile.
AAJ: Ma la tua patria è ormai la Francia?
MG: Beh, direi di sì, perché trovo sempre più difficile immaginare di rientrare in Italia: il tempo passa, anche la mia compagna ha un lavoro qui e non vuole assolutamente tornare, io sono sempre più radicato in questo paese, professionalmente so come muovermi e come guadagnarmi da vivere, mentre tornare in Italia richiederebbe quantomeno qualche anno di assestamento. Senza considerare che qui per i musicisti ci sono maggiori facilitazioni che non in Italia.
AAJ: Inoltre la tua regione d'origine è ricca di musicisti di valore, che però suonano pochissimo nel resto d'Italia.
MG: ? vero, tuttavia in Puglia c'è anche molta attenzione per lo spettacolo e per l'arte da parte della politica ed esistono diversi dispositivi di cui possono usufruire i musicisti pugliesi, a livello sia regionale, sia internazionale. Da questo punto di vista c'è una situazione migliore che in altre regioni italiane. Resta una certa mancanza di spazi, sebbene da un anno esista finalmente un Jazz Club a Bari, il Duke. Ma ne servirebbero altri, che, in parte, stanno creando gli stessi musicisti, talvolta con il supporto delle scuole di musica, e attraverso i quali stanno emergendo musicisti interessanti.
AAJ: Lo so, perché seguo con una certa attenzione la scena regionale, convinto come sono che il jazz, in quanto arte povera e precaria, fiorisca più in periferia che al centro dell'Impero.
MG: In periferia si sogna di più! Credo comunque che in tutta Italia manchino "contenitori" ove sia possibile sperimentare e produrre musica "di frontiera," nei quali si mescolino esperienze diverse senza la necessità di presentare un progetto già definito con una delle "etichette" standard; in Francia, invece, queste realtà sono molto diffuse e contribuiscono sia al lavoro dei musicisti, sia allo sviluppo dei gusti del pubblico.
AAJ: Prima di trasferirti a Parigi cosa facevi?
MG: Io ho cominciato tardi con la musica. Non vengo da una famiglia di musicisti: mio padre era un pilota automobilistico, ha corso ad alti livelli, la "musica" di cui era appassionato era tutt'altra. C'era, ovviamente, chi la ascoltavamia sorella, mia zia, mio nonnoma io sono stato per anni solo un ascoltatore passivo. E tuttavia attento, visto che mi è stato raccontato come, più o meno all'età di tre anni, tra lo sconcerto dei miei genitori me ne restassi davanti allo schermo fisso della TV che, dopo la fine dei programmi, trasmetteva musica classica... La stessa che ascoltavo, da dietro la porta della sua stanza, dal giradischi di mio nonno, che ne era appassionato.
La musica "suonata" è arrivata solo verso i sedici anni, attraverso gli amici che già suonavano e che ascoltavano i più diversi gruppi rock, jazz, fusion: grazie ai loro consigli sono stato attratto anche dalla pratica e ho iniziato a suonare prima la batteria, poi l'armonica, quindi la chitarra. Ne avevo una un po' rovinata, con la quale ho suonato alla buona per qualche tempo: aveva solo quattro corde e perciò ero costretto ad accordarla in modo atipicocioè come il basso! Fino a che, verso i diciotto anni, il fratello di un amico mi ha venduto per pochi soldimi pare cinquantamila lireun basso elettrico con amplificatore: era degli anni Settanta, molto bello anche se pesantissimo, una copia del Fender Precision. Per me fu il grande passo: da lì in poi non feci altro che suonare. Tanto che, quando telefonavano a casa e chiedevano cosa stessi facendo, mia nonna rispondeva: "sta sempre chiuso in quella stanza a suonare quella specie di chitarra..."
Fu così che mi iscrissi anche alla scuola di musica Il Pentagramma, dove conoscevo un insegnante,

Vito Di Modugno
organ, Hammond B3Iniziai inoltre a frequentare l'associazione FEZ guidata da Nicola Conte, al cui interno si sperimentavano molti fermenti della musica nera. Lìerano i primi anni Novantami trovai a suonare con molti musicisti esperti; in particolare, ebbi la fortuna di essere invitato nel gruppo del chitarrista Alberto Parmegiani, appena rientrato dagli Stati Uniti, dai quali portava molti stimoli creativi. Credo che, quando mi invitò, lo abbia fatto più per motivi affettivi (ero il cugino di un suo carissimo amico, scomparso) che per le mie qualità, visto che suonavo da pochissimo e riuscivo a malapena ad accompagnarlo; comunque sia, per me fu una grande esperienza: suonavamo jazz, soul, e tante altre cose, ospitando spesso musicisti affermati, tutte cose che accelerarono il mio processo formativo.
AAJ: Non avevi ancora avvicinato il contrabbasso?
MG: No, studiavo il basso elettrico, ecome tanti miei colleghiebbi anche il mio periodo di infatuazione per

Jaco Pastorius
bass, electric1951 - 1987

Lee Konitz
saxophone, alto1927 - 2020

Gaetano Partipilo
saxophone, altob.1974
Fabio Accardi
drums
Furio Di Castri
bass, acousticb.1955

Paolo Fresu
trumpetb.1961

Enrico Rava
trumpetb.1939

Franco D'Andrea
pianob.1941
AAJ: Quindi un trasferimento sentimental-musicale!
MG: Di fatto sì, anche se poi, giunto a Parigi, scoprii un altro mondo: iniziai a suonare con i gruppi attivi in città, incontrai i grandi contrabbassisti d'oltralpe, come

Michel Benita
bass
Riccardo Del Fra
bass, acousticb.1956

Daniel Humair
drumsb.1938

Glenn Ferris
tromboneb.1950
Al termine di quel periodo pensai anche di rientrare in Italia, ma in Francia mi ero ormai ambientato e avevo una nuova compagna, mentre in Italiae in particolari a Barila situazione non era rosea, tanto che
Fabio Accardi
drums
Kenny Wheeler
flugelhorn1930 - 2014

Kenny Werner
pianob.1951
AAJ: Com'è stata la tua attività artistica in Francia?
MG: Propriamente è iniziata nel 2005, quando ho cominciato a suonare tra gli altri con il trombettista Nicolas Folmer, con il batterista
Christophe Marguet
drums
Bruno Angelini
pianoFabrice Moreau
drums
Francesco Bearzatti
saxophone, tenor
Stéphane Mercier
saxophone, altob.1970

Bojan Z
piano
Roberto Ottaviano
saxophone, sopranob.1957

Miles Davis
trumpet1926 - 1991

Manu Codjia
guitar, electricb.1975
Ricardo Izquierdo
saxophone, tenor
Jason Palmer
trumpetb.1979

Jeff Ballard
drumsb.1963

Nasheet Waits
drumsb.1971
AAJ: Si trattava del tuo secondo album?
MG: Di fatto sì, ma in verità ne avevo registrato un altro, con il trio più Francesco Bearzatti, che purtroppo non è mai uscito, perché non sono riuscito a trovare un'etichetta disponibile. In quel periodo ho avuto comunque molte altre collaborazioni interessanti, per esempio quella con

Rene Urtreger
pianob.1934
AAJ: Colpisce il fatto che, pur in Francia, tu abbia lavorato spesso con altri musicisti italiani residenti oltralpe, come per esempio il mio concittadino
Stefano Maurizi
piano
Matteo Pastorino
clarinetGiovanni Ceccarelli
piano
Alessandro Sgobbio
pianoMG: ? vero, credo dipenda dal fatto che siamo un buon numero esarà la nostalgia di casa, il piacere di fare due chiacchiere in italiano o l'interesse ad avere notizie del nostro paese d'origineci ritroviamo spesso. Con Bearzatti, per esempio, siamo amici da quando è arrivato a Parigi, anzi, gli subaffittai il mio appartamento visto che io partivo e per un periodo non ci sarei stato. Poi pian piano abbiamo anche cominciato a suonare assieme. E lo stesso è accaduto con altri. Con Nicola Sergio e Matteo Pastorino abbiamo avuto anche l'idea di mettere insieme un sestetto "Reunion" di musicisti italianic'erano anche Bearzatti,

Federico Casagrande
guitarb.1980
Patrick Goraguer
drumsAAJ: Com'è nato quel disco?
MG: Il trio fece diversi concerti e funzionava molto bene; mi venne così in mente di allargarlo, invitando Matteo Pastorino, per suonare un po' di mie composizioni. Facemmo una prima session molto interessante, alla quale seguirono alcuni concerti, che ci spinsero a perfezionare il programma e fare una prima registrazione, a casa di Goraguer. La buona riuscita fu decisiva per andare avanti e documentare il progetto su disco.
AAJ: Mi sembra un lavoro di immediata fruizione, ma assai singolare, molto narrativo e con una serie di "citazioni" che ben lo caratterizzano come omaggio a Pasolini. Tuttavia l'iniziale Che cosa sono le nuvole?, per le forme che ha, sembra preludere a un disco diverso da quello che in realtà le segue, a un album che gioca con le melodie tradizionali, cosa che invece Nuages propriamente non fa.
MG: Infatti, se si vuole è proprio un clin d'?il, un "fare l'occhiolino": non volevo che il brano fosse rappresentativo del disco, infatti dura pochissimo e c'è solo l'esposizione del tema della canzone di Pasolini e Modugno. Diciamo che è come una sigla, una porta che si apre su una raccolta di emozioni delle quali quel brano è l'origine. Del resto sarei in imbarazzo anche a definire il disco come un omaggio a Pasolini, nonostante che tante cose lo leghino a luii miei ricordi, i titoli delle composizioni, la drammaturgia del lavoro. Il fatto è che quando concepisco un progetto sono molto meno "scientifico" di quando poi ne parlo: ho soprattutto cercato di ricollegarmi a un'emozione infantile, quella che mi produsse la visione dell'episodio pasoliniano del film Capriccio all'italiana e l'ascolto di quella musica, che poi è la sola cosa che mi ricordo quando penso a quell'emozione.
Poi ho cercato di capire perché avessi solo proprio questo ricordo, e per farlo ho analizzato l'episodio del film, ho cercato di capirne a fondo il significato, ho riconnesso tutto ad altre mie sensazioni, a pensieri che vi si ricollegavano. Ne sono venute fuori una serie nuove emozioni, che sono state l'origine di altre composizioni. "Danza della sera," per esempio, è dedicato alla raccolta di brani che il gruppo psichedelico Chetro & Co. dedicò a Pasolini nel 1968: Danze della sera (suite in modo psichedelico). In realtà la mia composizione non ha nulla in comune con quel lavoro, è solo un'ispirazione legata alla mia associazione delle cose. "Venere allo specchio" è la citazione di un dettaglio del film, che si coglie in un fermo immagine: il camionista, attaccato in cabina, invece dei calendari Pirelli con le dive, ha la "Venere allo specchio" di Velázquez. "Il papunno" è invece un brano precedente, l'avevo registrato proprio in Nostalgie de l'avenir di Stefano Maurizi, con un arrangiamento diverso e il titolo "Processione"; ho voluto registrarlo di nuovo perché lo ritenevo in linea con l'ambiente musicale che volevo costruire: anche quello è infatti un ricordo infantile, di quando mi portavano alle processioni nelle quali il Cristo e la Madonna si rincorrono in città, partendo al mattino per ritrovarsi a sera al Duomo. C'era tantissima gente, tutta una ritualità di movimenti e di mascherepartecipanti in catene, insanguinati, con strani cappellie in parte si svolgeva al buio: ne ho ricordi terrorizzanti, ancor più perché un mio caro cugino, proprio l'amico di Parmegiani poi scomparso, mi spaventava dicendo che i penitenti che sfilavano con il cappello erano il "papunno," nella tradizione pugliese una sorta di spirito maligno che punisce i bambini cattivi, ed erano venuti per me...
"Her to me" è probabilmente il brano che ha meno a che fare con il progetto: è dedicato a

Hermeto Pascoal
fluteb.1936
AAJ: Interessante questa scelta di unire musica colta e popolare.
MG: Qualcuno in Francia in realtà mi ha accusato di aver banalizzato la dodecafonia, ma a me interessano le forme di arte musicale più complesse e, al tempo stesso, ritengo essenziale che una comunicazione possa arrivare a un numero ampio di ascoltatori e, all'inizio, immediatamente anche a me stesso. Non ho velleità di essere un grande ricercatore: certe forme mi interessano, le studio, mi piace sperimentarle, e se alla fine ciò che faccio in questa direzione, coniugandole in modo che possano essere colte anche da chi non è un esperto, viene considerata una "volgarizzazione," non me ne vergogno e non me ne dispiaccio. "Sk?duish?" è piaciuto ad amici che di solito non ascoltano neppure jazz, abituati solo al pop, e questo per me è un risultato apprezzabile, visto che comunque al suo interno il serialismo è presente.
AAJ: Capisco, è una cosa che avevo notato per quanto riguarda anche alcuni artifici tecnici sullo strumento e alcune forme espressive colte che usi qua e là sia in Nuages, sia in Feed, cose sulle quali altri potrebbero realizzare interi album sperimentali, e che tu impieghi solo episodicamente; ma mentre l'album sperimentale sarebbe impegnativo da ascoltare, l'uso episodico che ne fai costituisce il valore aggiunto di lavori sempre pienamente fruibili. E anch'io trovo questo assai apprezzabile.
MG: Se qui ti riferisci all'aspetto strumentale, devo allora aggiungere che il contrabbasso è il mio "giardino segreto." Forse perché è attraverso di lui che posso esprimere le mie emozioni, o forse perché ho sempre avuto dei favolosi modelli, culminati con " data-original-title="" title="">Stefano Scodanibbio, colui che più di ogni altro ha sconvolto le mie convinzioni sul contrabbasso in particolare e sulla musica in generale. Essere entrato in contatto con lui mi ha cambiato per sempre le coordinate dell'espressività: oggi non riuscirei a suonare il contrabbasso come lo suonavo prima di conoscerlo, più aderente e funzionale alla tradizioneper quanto le modalità sviluppate e messe a punto da Scodanibbio diventeranno a loro volta una tradizione in futuro, perché già adesso in ambito classico e contemporaneo in molti ripercorrono la sua strada.
Quando dico che il contrabbasso è il mio "giardino segreto" intendo che c'è ancora tutto un mondo da esplorare: Scodanibbio ha solo aperto la portao, meglio, un portone visto il livello straordinario di quel che ha fattoma c'è ancora tanto da sperimentare, da creare. Personalmente non posso certo dire d'aver inventato chissà cosa, tuttavia ultimamente sto per esempio sperimentando sullo strumento la commistione tra percussioni e armonici, sia reali che artificiali: quando ne ho la possibilità mi piace mettere alla prova queste tecniche, anche se non so quanto siano interessanti per il pubblico. Per me lo sono senz'altro, perché mi permettono di esprimere qualcosa di diverso rispetto a quando compongo.
AAJ: Ti capita spesso di poterti esibire in contrabbasso solo?
MG: In realtà purtroppo no. Nonostante molti colleghi mi spingano a farlo. Forse mi mancano i contatti giusti per procurarmi le occasioni, forse sarebbe necessaria una registrazione come presentazione. Per il futuro, comunque, mi piacerebbe farlo un po' più spesso.
AAJ: Resta positivo il fatto che alcune delle cose che vuoi comunicare le possiamo trovare negli spazi in solo che ti riservi in due album fruibili e godibili da tutti quali sono come Nuages e Feed. Due album tuttavia piuttosto diversi: come si raccordano tra loro nella tua evoluzione artistica?
MG: Anzitutto va detto che Nuages è tutto precovidla sua registrazione risale al dicembre 2019 e parte delle musiche sono di oltre tre anni famentre Feed è stato totalmente pensato nella prima ondata del covid, composto tra la prima e la secondacioè tra maggio e settembre 2020 e registrato in piena seconda, nel novembre 2020. Questa differenza, apparentemente secondaria, ha invece influenzato vari aspetti della progettazione. Per esempio, sebbene io scriva sempre in modo abbastanza rapido, in questo caso sono stato ulteriormente sollecitato dal fatto di essere chiuso in casa senza poter neppure suonare vivevo infatti in cinquanta metri quadri assieme a due bambini. Potevo solo ascoltare musica, e infatti ne ho ascoltata moltissima e l'ho studiata. ? così, per esempio, che è nata la citazione del concerto per pianoforte n. 2 di Prokofiev.
AAJ: Trovo interessante che, pur essendo la formazione un classicissimo piano trio, sia difficile inquadrare il disco in uno dei tipici "modelli" del genere: non nel mainstream, non nella tradizione che parte da

Bill Evans
piano1929 - 1980

Keith Jarrett
pianob.1945

Paul Bley
piano1932 - 2016
MG: Credo che ciò sia dovuto al non essersi posti alcun obiettivo stilistico e all'aver invece dato vita alla formazione e all'album in modo molto spontaneo. Con Alessandro Sgobbio e Christophe Marguet suoniamo assieme da circa tre anni, ma abbiamo iniziato improvvisando liberamente, poi pian piano proponendo ciascuno le proprie composizioni. Avevo registrato delle improvvisazioni durante le prove a casa di Christophe e, quando ho iniziato a scrivere, ho pensato a composizioni che conservassero quel tipo di suono, tenendo cioè conto del continuo entrare e uscire dalla scrittura verso l'improvvisazione, dell'apertura verso continui cambiamenti che, ogni volta, ciascun musicista può proporre in corso d'opera. Così, quando siamo andati a registrare, ci sono state continue proposte, specie da parte di Alessandro, che hanno fatto sì che ne uscisse una certa musica, la quale tuttavia se avessimo registrato una seconda volta sarebbe stata ben diversa.
AAJ: La presenza dell'improvvisazione è dunque forte.
MG: Sì, molto, sebbene alcuni brani siano più aderenti alla scrittura. Il fatto è che Alessandro e Christophe si impregnano a tal punto della materia musicale che ogni volta la ricreano e la rendono sempre diversa. Diciamo che è facile proporre della musica per musicisti così: è sufficiente offrir loro del materiale contemporaneo, aperto, e loro gli danno forma. Alessandro è un pianista davvero proteiforme, muta continuamente pelle musicale; Christophe è invece una sorta di Paul Motian francese, porta con sé una cultura musicale vastissima che mette a frutto nelle situazioni aperte, e anche per questo porta un suono che non ci si aspetterebbe in questa musica, meno secco di quello dei batteristi contemporanei.
AAJ: Una cosa che aumenta l'equilibrio e la pariteticità della formazione.
MG: Da questo punto di vista qualcuno, ascoltando il disco, ha osservato che il contrabbasso sia poco presente, cosa che a me non sembra, perché gli spazi ci sono sia nelle composizioni, sia negli assoli; tuttavia è vero che non c'è una prevalenza del contrabbasso: suona con gli altri e come gli altri, e basta. Ma anche questo è frutto della spontaneità con cui ci siamo mossi più che di una precisa e determinata intenzione di ottenere un risultato.
AAJ: Che poi è il modo in cui nascono le opere improvvisate: non sulla base di un preciso progetto, ma facendo. Qui un materiale c'era, ma c'era anche l'intenzione di ricrearlo, modificarlo, assieme: se le cose funzionano, ne vien fuori l'equilibrio.
MG: In questo è stata senza dubbio decisiva anche la scelta dei partner. Quando ho deciso di affrontare un progetto discografico con questo trio, ero sicuro che Alessandro e Christophe non avrebbero fatto quel che perfino io mi sarei aspettato e che avrebbero invece cooperato costantemente nella ricreazione delle musiche che avevo scritto. Li ho scelti proprio per questo. Ma potrei dire che anche loro hanno scelto me per lo stesso motivo: per cercare e trovare un'espressività che fosse comune.
AAJ: Cos'altro ti proponi per il futuro?
MG: Vorrei suonare di più. Non ho un agente e non sono bravissimo a propormi, cosicché alla fine suono la mia musica meno di quanto vorrei. Lavoro, anche con altri musicisti, ma trovo sempre difficoltà a suonare con i miei propri progetti. Anzi, ammiro molto coloro che invece ci riescono. E purtroppo neppure questi due progetti, pur presentati anche con i dischi, hanno prodotto un numero importante di date, complice probabilmente il fatto che con il covid sono crollati le occasioni per suonare dal vivo. Tuttavia, credo che ci sia anche un problema legato al pubblico, condizionato da un mercato che tende ad appiattire proposte e gusto.
AAJ: Sulla base dei giudizi di musicisti che lavorano sia all'estero che in Italia, credevo che fosse un problema più grave da noi, dove la cronica assenza di educazione musicale nella scuola e la mancanza di sostegno alle arti fa sì che il pubblico si orienti solo sulla base di ciò che passa in TV, ovvero sul pop.
MG: In Francia certo la TV è meno invasiva e i musicisti sono più supportati, tuttavia il problema c'è lo stesso. Forse dipende dal fatto che nelle periferie c'è minore vivacità sociale: tutto ruota attorno ai grandi centri, ove non tutti possono sempre andare, cosa che riduce la circolazione dei fermenti culturali. O forse è responsabilità del revival del mainstream, che ha prodotto un fenomeno per me e per i colleghi della mia età in su (a maggio faccio cinquant'anni) piuttosto sorprendente. Ormai se vai alle jam trovi ragazzini, peraltro tecnicamente preparatissimi, che suonano come negli anni Cinquanta: gli stessi brani, con gli stessi arrangiamenti, gli stessi suoni e gli stessi stilemi. Perfino con i medesimi abbigliamenti degli anni Cinquanta: tutti impeccabili, vestiti con la giacca e il fiocchetto. Direi che sono soprattutto cinematografici. Una volta ne parlai con

Aldo Romano
drumsb.1941
AAJ: ? un fenomeno di cui mi parlava lo scorso anno

Daniele Sepe
saxophoneMG: Sì, sono d'accordo. Direi però che a scomparire sono soprattutto i musicisti che, un po' come me, cercano di fare un lavoro di sintesi tra due polarità: da un lato quella dei neo-bopper, dall'altro quella di chi fa solo "musica dell'istante"; per chi sta in mezzo mi sembra ci sia poco spazio. Ne parlavo recentemente proprio con Christophe, il quale mi diceva che se fino a qualche tempo fa nei club e nei festival si potevano trovare programmazioni abbastanza eterogenee, più passa il tempo e più si manifesta questa polarizzazionealla quale non sottostanno, in Francia, solo i musicisti americani, che restano liberi di presentare la loro musica originale. Assistiamo forse a una fase di passaggio simile a un nuovo manierismo, che sarà inevitabilmente superato un giorno da nuove urgenze artistiche e culturali. Non so se anche in Italia succeda qualcosa del genere. Ma del restoescludendo le occasioni offerte dalla Puglia, che mi ha supportato anche per realizzare Feed, attraverso Puglia Soundssuonare in Italia per me è un vero miraggio.
Tags
Interview
Mauro Gargano
Neri Pollastri
Italy
Vito Di Modugno
Alberto Parmegiani
Jaco Pastorius
Maurizio Quintavalle
Lee Konitz
Gaetano Partipilo
Fabio Accardi
Furio Di Castri
Paolo Fresu
Enrico Rava
Franco D'Andrea
Michel Benita
Christian Gentet
Riccardo Del Fra
Daniel Humair
Glenn Ferris
Kenny Wheeler
Kenny Werner
Nicolas Folmer
Christophe Marguet
Bruno Angelini
Fabrice Moreau
Francesco Bearzatti
Stephane Mercier
Bojan Z.
Roberto Ottaviano
Miles Davis
Manu Codjia
Ricardo Izquierdo
Jason Palmer
Jeff Ballard
Nasheet Waits
Rene Urtreger
Stefano Maurizi
Matteo Pastorino
Giovanni Ceccarelli
Alessandro Sgobbio
Nicola Sergio
Matteo Pastorino
Federico Casagrande
Stefano Lucchini
Patrick Goraguer
Hermeto Pascoal
Stefano Scodanibbio
Bill Evans
Keith Jarrett
Paul Bley
Aldo Romano
Daniele Sepe
Comments
PREVIOUS / NEXT
Support All About Jazz
