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Parma Jazz Frontiere 2015

27-29.11.2015
La penultima tranche di una rassegna più che mai "spezzatino" partita il 25 ottobre con gli

Oregon
band / ensemble / orchestraGiorgio Gaslini
pianob.1929

Roberto Bonati
composer / conductor
Mark Turner
saxophone, tenorb.1965

Susanne Abbuehl
vocalsb.1970

Matthieu Michel
flugelhornb.1963

Django Bates
pianob.1960

Gianluigi Trovesi
saxophoneIl primo concerto del trittico di cui riferiamo aveva in realtà per protagonista il trio di Alberto Tacchini, di casa a Parma (vi insegna, anche), quello dalle inusuali geometrie con " data-original-title="" title="">Massimo Falascone ai sassofoni (contralto e sopranino) e

Cristiano Calcagnile
drums
Ornette Coleman
saxophone, alto1930 - 2015

Charles Mingus
bass, acoustic1922 - 1979

Thelonious Monk
piano1917 - 1982

John Taylor
piano1942 - 2015
Il concerto nella sua globalità è stato ottimo, concentrato, rigoroso, asciutto, privo di ogni barlume di prolissità, perfettamente coeso pur nella varietà del materiale proposto, facendo di fatto registrare un ulteriore salto in avanti rispetto al pur già apprezzabile album di riferimento.
La sera di sabato portava sul palco parmigiano un progetto quanto mai ambizioso che ora sarebbe del tutto auspicabile replicare nelle (altre) sedi opportune. Col titolo Voci del Nord, Luci del SudLuci del Nord, Voci del Sud, è approdato infatti nell'ideale teatro (anche per acustica e accoglienza globale) della Casa della Musica il frutto di una sinergia fortemente voluta dal conservatorio cittadino (di cui Bonati dirige il compartimento jazz) con i confratelli di G?teborg, Copenhagen, Stavanger e Oslo fino ad allestire un ensemble di dodici elementi, otto dei quali hanno messo a punto per l'occasione una partitura originale da far eseguire al singolare organico (due ottoni, tre sassofoni, due tastiere, chitarra, basso, marimba, batteria e voce) appunto nel corso della serata parmigiana.
Detto che l'iniziativa meriterebbe comunque un plauso incondizionato, senza se e senza ma, ci è doppiamente gradito poter riferire di un'esibizione di notevole spessore in sé e per sé in almeno cinque delle otto pagine presentate, là dove più nitida è emersa un'idea compositiva chiara, solidamente messa a fuoco (non canonica, si badi: non era questo il punto, semmai il contrario), come appunto accaduto nelle partiture della cantante lappone Heidi Ilves e della chitarrista estone Merje K?gu (entrambe da G?teborg), del tastierista lettone " data-original-title="" title="">Rudolfs Macats (da Copenhagen), del batterista berlinese Knut Nesheim (da Oslo) e del contrabbassista locale Andrea Grossi (in realtà brianzolo), la cui suite ha offerto forse i frutti più succosi di una serata comunque da incorniciare.
La domenica pomeriggio, infine, col titolo Third Stream si è tenuto il saggio finale del workshop in quattro incontri condotto da Mario Arcari, altra presenza tutt'altro che occasionale a Parma Frontiere, con gli studenti del terzo e quarto anno del liceo musicale Attilio Bertolucci (ovviamente di Parma). All'opera era un altro ensemble curiosamente sempre di dodici elementi dalle geometrie strumentali ancor più desuete: tromba, due flauti, fagotto, due tastiere, vibrafono, basso, batteria e tre chitarre (tutte elettriche). Qui a esser proposte sono state una pagina di Roberto Bonati, "Spiritus in terra," offerta in apertura e poi come bis (nel primo caso corroborata da un robustoverrebbe da definirlo sanbornianoassolo di Arcari al soprano) e tre più brevi, elegantissime pagine di

Franz Koglmann
flugelhornb.1947
Ora si attende il concertone finale del 10 dicembre al Teatro Regio che, proponendo fianco a fianco habitués del festival e, ancora, nuove presenze, celebrerà il succitato ventennale di una rassegna chefuor di ogni retorica di circostanzaha sempre difeso, anche in anni di vita precaria (causa i fatidici tagli dei contributi, a quanto si sa non certo alle spalle), una sua precisa collocazione e una progettualità (anche qui fuori dall'uso del tutto indiscriminato che si fa della parola) palpabile. L'auspicio è che il futuro possa essere più tenero con questo tipo di rassegne che non si stancano di tenersi fuori dal carrozzone dei cartelloni preinscatolati e tutti pericolosamente sovrapponibili, dove la direzione artistica si limita spesso a ratificare uno status quo ormai lievemente maleodorante.
Foto di Giuseppe Arcamone.
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