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Roberto Gatto: vivere sbagliando è una gran perdita di tempo

Roberto Gatto
drumsb.1958
All About Jazz: Fra i tuoi più recenti lavori spicca un progetto dedicato a

Frank Zappa
guitar, electric1940 - 1993
Roberto Gatto: Ho cominciato a collaborare con i Quintorigo all'epoca del loro esordio discografico. Hanno una grande passione per il jazz e tra i sogni nel cassetto avevano anche quello di coinvolgermi. Mi chiesero di partecipare al disco di debutto, quando alla voce c'era ancora John De Leo, e poi anche al secondo. L'idea di interpretare il repertorio zappiano esisteva da molti anni, da quando abbiamo iniziato a incrociarci in vari contesti concertistici. Personalmente, io avevo questo grande desiderio di fare qualcosa su

Frank Zappa
guitar, electric1940 - 1993

Jimi Hendrix
guitar, electric1942 - 1970
AAJ: Insieme a

Danilo Rea
pianoRG: Sotto il nome Trio di Roma abbiamo lavorato soprattutto come sezione ritmica accompagnando parecchi musicisti americani. Non abbiamo mai fatto moltissimi concerti solo noi tre. Il gruppo nacque negli anni del liceo, e con il passar del tempo è stato normale che ognuno di noi prendesse una propria strada e sviluppasse una personale idea di musica. Perciò la nostra è stata una separazione serena, anche se di base si può parlare di una sospensione dei lavori... Tre o quattro anni fa abbiamo realizzato un disco, al quale sono seguiti un paio di concerti. C'è da considerare anche il fatto che Danilo ed Enzo, oltre a far parte del Trio di Roma, avevano anche i Doctor 3, formazione per molti versi analoga. Quindi mantenere in vita questi due progetti molto simili tra loro non aveva un gran senso. Inoltre, i Doctor 3 hanno anche riscosso un discreto successo discografico, sin dalle loro prime pubblicazioni, e probabilmente ciò ha anche un po' appannato l'idea del Trio di Roma, nonostante il seguito che avevamo.
AAJ: A partire dagli anni Settanta hai accompagnato molti mostri sacri del jazz statunitense. Quale eredità hanno lasciato nella tua musica, nel tuo stile?
RG: Ciascuno dei musicisti con cui ho suonato mi ha inevitabilmente regalato qualcosa di molto importante, a livello di crescita personale e presa di coscienza di quel che per me significa suonare. Probabilmente al tempo non sapevamo fino in fondo chi avevamo davanti, perché eravamo molto giovani... Negli anni Settanta iniziammo a suonare questa musica e cominciavamo a farci appena un'idea di chi fossero i grandi maestri del jazz. Quando sei giovane e incontri musicisti del genere non ti rendi completamente conto della fortuna che stai avendo. Solo con il passare del tempo capisci che cosa vuol dire avere avuto a che fare con personaggi di quel calibro. Ciascuno di loro ci ha lasciato un enorme bagaglio di emozioni ed esperienze, a volte anche complicate. Avere a che fare con musicisti come

Steve Grossman
saxophone1951 - 2020

Chet Baker
trumpet and vocals1929 - 1988
AAJ: L'anno scorso c'è stata la reunion di un altro tuo gruppo storico, i Lingomania. Quali sono stati i motivi e gli stimoli che vi hanno portato a suonare di nuovo insieme?
RG: Si può dire che i Lingomania li abbia ritirati fuori io... Sono un tipo abbastanza nostalgico, mi piace riprendere situazioni che sono state molto importanti per me in termini musicali e alle quali sono rimasto affezionato. Lingomania è una di queste, anche perché riascoltando i nostri vecchi dischi ho avuto la conferma che la musica che suonavamo era molto moderna, capace di resistere al passare del tempo. Quindi ho deciso di chiamare

Maurizio Giammarco
saxophoneb.1952
AAJ: Parliamo dell'omaggio al secondo quintetto di

Miles Davis
trumpet1926 - 1991
RG: Per questo progetto mi sono concentrato su musicisti che hanno segnato la mia formazione musicale. Miles, in quintetto con

John Coltrane
saxophone1926 - 1967

Charles Mingus
bass, acoustic1922 - 1979

Bill Evans
piano1929 - 1980

Duke Ellington
piano1899 - 1974

Count Basie
piano1904 - 1984
Passando al secondo quintetto di Miles... ho sempre amato i loro album. Avevo questa musica nelle orecchie ogni giorno.
Miles non è stato semplicemente un compositore... Ha messo su un quintetto con il quale ha suonato una certa musica, con un preciso stile. Il suono di quel gruppo, così come del resto quello del secondo quintetto di Miles, erano molto caratteristici. Inoltre, si tratta di un repertorio non eccessivamente rivisitato, ragion per cui cominciai a suonare decisamente ispirato a quello stile. L'elemento innovativo di quel quintetto era rappresentato principalmente da

Tony Williams
drums1945 - 1997
Quando un musicista decide di rendere omaggio a musicisti di questo calibro non può non chiedersi come rapportarsi ad una musica ed un repertorio che sono stati affrontati per decenni. ? una questione valida tanto nel jazz quanto nella musica classica. Come mai si suona ancora il repertorio di Brahms, o le sinfonie di Bruckner? Il motivo è semplice... Cambiano i direttori, cambiano i musicisti, cambiano le interpretazioni e gli approcci, ma la musica dei grandi compositori continua a rimanere rilevante nonostante il trascorrere del tempo e la ritroviamo anno dopo anno nei cartelloni di qualsiasi stagione classica o sinfonica. Questo vale anche nel jazz. Ovviamente non bisogna fare sempre e solo questo, ma personalmente non trovo nulla di strano nel compiere un recupero di questi repertori...
Ho fatto lo stesso con

Shelly Manne
drums1920 - 1984

The Beach Boys
band / ensemble / orchestrab.1961

Tom Waits
piano and vocalsb.1949
Quando inizio un progetto dedicato ad un musicista, siano essi Zappa, Manne o Miles lo faccio con l'intento di approfondire la mia comprensione del loro lavoro, cerco quindi di leggere, suonare, comprendere il loro genio...
AAJ: Passiamo al progetto Omaggio al progressive rock. Quanto progressive può essere trapiantato in un ambito jazzistico? Come ha lavorato su quel materiale?
RG: Quel lavoro è stato abbastanza impegnativo... Parlo di un'idea che mi sono portato dietro per anni ma alla quale non mi sono mai deciso a metter mano perché ne ero terrorizzato, nonostante io abbia avuto quella musica, quel genere, sempre dentro di me. Quel lavoro scaturì direttamente da una commissione. Fu un'idea che Luciano Linzi della Casa del Jazz mi spinse a concretizzare. Mi sono chiuso in casa e ho iniziato a fare innanzitutto una ricerca su molte band di quegli anni, tralasciando inevitabilmente anche un sacco di musicisti importanti, come i " data-original-title="" title="">Curved Air o gli Hatfield and the North. Non a caso ho sempre pensato poi di fare anche un volume II, che tra l'altro mi è stato richiesto moltissime volte. Comunque c'erano un sacco di belle cose su quel disco, dai

Genesis
band / ensemble / orchestra
King Crimson
band / ensemble / orchestrab.1969

Pink Floyd
band / ensemble / orchestrab.1964

Robert Wyatt
drums
Fabrizio Bosso
trumpet
Maurizio Giammarco
saxophoneb.1952

Gianluca Petrella
tromboneb.1975

Danilo Rea
pianoAAJ: Il tuo ultimo album in studio, Sixth Sense del 2015, può essere considerato una summa del tuo stile e delle tue influenze, dati anche gli omaggi riservati a

Ornette Coleman
saxophone, alto1930 - 2015

Dave Brubeck
piano1920 - 2012
RG: Sicuramente... ? un disco molto jazz, con un organico asciutto e particolare, che vede tra l'altro l'assenza del pianoforte. Ricercavo proprio quel suono e mi sono affidato a musicisti che sono anche ottimi improvvisatori, come

Avishai Cohen
bassb.1970

Francesco Bearzatti
saxophone, tenor
Doug Weiss
bass, acousticParlando di improvvisazione, vorrei ricordare anche il Perfect Trio, un'altro progetto a cui tengo molto. Si tratta di un gruppo molto moderno, incentrato sull'elettronica, senza schemi, particolarmente incline all'improvvisazione. Con

Alfonso Santimone
pianoPierpaolo Ranieri
bass, electricQuando un musicista sale su un palco e ha davanti a sé un'ora e mezza di musica "senza paracadute," cioè senza precisi riferimenti o schemi, deve comunque comunicare alle persone che lo stanno l'impressione che si stia eseguendo una musica con una sua forma, pur essendo composizioni estemporanee e non "brani veri e propri." Questa è una pratica che i musicisti del nord Europa hanno assimilato molto più di noi, e personalmente avverto forte la necessità di avere al mio fianco musicisti e improvvisatori di tal genere. Quel che mi manca molto è proprio questo "salto nel vuoto." Qui i musicisti hanno spesso la loro parte davanti agli occhi, leggono, o sono comunque vincolati a una qualche struttura della quale devono essere a conoscenza. Però poi quando sottrai loro questa cosa tendono a soffrire, proprio perché manca l'estemporaneità, che è un fattore importantissimo per ogni musicista, probabilmente il momento in cui chiunque si ritrova a fare i conti con se stesso e con tutto quel che ha appreso lungo un'intera carriera.

Cecil Taylor
piano1929 - 2018
AAJ: Parliamo del tuo quartetto italiano con

Alessandro Lanzoni
piano
Matteo Bortone
bass, acoustic
Nir Felder
guitar
Joseph Lepore
bass, acoustic
Melissa Aldana
saxophoneRG: Negli ultimi anni ho abitato a New York e ho stretto contatti con diversi musicisti statunitensi. Una delle prime cose che ho fatto è stato il mettere in piedi questo quartetto con Nir Felder, Melissa Aldana e Joseph Lepore, con cui abbiamo realizzato anche un disco, tuttavia mai pubblicato ma che abbiamo portato in giro anche qui in Italia. La mia idea era appunto quella di metter su un gruppo e di poterlo vendere anche fuori dagli Stati Uniti. Comunque, ho avuto occasione di lavorare anche con altri musicisti, quindi non si può dire che io abbia avuto un solo gruppo, ma diversi gruppi newyorchesi. La cosa bella degli Stati Uniti è che quando ti crei una rete di contatti e il tuo nome inizia a girare, i musicisti già sanno di te. ? come se avessi un lasciapassare.
Quando posso, cerco sempre di tenere insieme un organico fisso, perché lavorare con gli stessi musicisti a un progetto musicale, soprattutto a un sound particolare, è una cosa che richiede molto impegno e tanta condivisione. ? quel che accadeva nei gruppi di Miles, dove i suoi musicisti suonavano insieme ed erano forti proprio per la riconoscibilità del loro suono collettivo, una riconoscibilità dovuta al fatto che lavoravano tutti insieme in maniera continuativa. Comunque, ora anche qui in Italia, l'intercambiabilità di cui parlavo a proposito degli States sta cominciando a funzionare, perché al giorno d'oggi ci sono molti più musicisti di prima, soprattutto giovani, abili e già molto richiesti. Quindi è facile che al posto di

Alessandro Lanzoni
pianoEnrico Zanisi
piano
Thad Jones
trumpet1923 - 1986

Mel Lewis
drums1929 - 1990

Gil Evans
composer / conductor1912 - 1988
AAJ: Qual è stata la tua formazione? E quali i tuoi maestri?
RG: In ambito scolastico ho tentato, almeno due volte, di frequentare i conservatori, la prima volta a Roma, la seconda a L'Aquila, ma non ci sono riuscito... Siccome già lavoravo molto non riuscivo a frequentare e soprattutto a studiare. Diciamo che il mio conservatorio è stata la strada, il suonare in giro. Perciò a livello didattico sono arrivato molto tardi a concepire una mia personale idea di insegnamento e ho imparato molto dai grandi batteristi, dai grandi musicisti con cui ho suonato, soprattutto guardandoli e avendo avuto la fortuna di vivere in anni in cui erano ancora attivi. Quelli che mi hanno maggiormente segnato sono Tony Williams ed

Elvin Jones
drums1927 - 2004

Buddy Rich
drums1917 - 1987

Ginger Baker
drums1939 - 2019

Mitch Mitchell
drums1947 - 2008
AAJ: Come è Roberto Gatto insegnante?
RG: C'è fin troppo materiale didattico fine a se stesso nelle scuole e un grosso limite è rappresentato dal riempire uno studente di esercizi senza poi parlare del suono. Sono necessari sia l'uno che l'altro aspetto e, naturalmente, tanta pratica. Personalmente non ho molto da insegnare a chi già sa suonare. Ci sono sicuramente un'infinità di cose che si possono dire, ma un insegnante non è che deve stare sempre lì, per forza accanto a un allievo. Quando hai avuto una guida che ti ha fatto capire determinate cose è necessario assimilarle, altrimenti si corre il rischio di sbagliare.
E vivere sbagliando è una gran perdita di tempo.
Il fatto che ora i ragazzi abbiano la possibilità di studiare jazz in conservatorio è fantastico. Tuttavia c'è chi semplicemente insegna e chi tiene in molta considerazione il fatto che, al di là dello strumento e al di là di ciò che gli studenti possano studiare o apprendere, ogni insegnante dovrebbe essere innanzitutto un buon divulgatore dello spirito di questa musica per poi entrare nello specifico dello strumento. Gli americani chiamano queste figure jazz educator, come ad esempio lo è

Barry Harris
piano1929 - 2021

Charlie Parker
saxophone, alto1920 - 1955

Sonny Rollins
saxophoneb.1930

Dexter Gordon
saxophone, tenor1923 - 1990
Foto: Danilo Codazzi.
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